ciad – ennedi……..18.11

Alle 4 sono già sveglio, tutti al campo riposano ancora, mi siedo fuori dalla tenda su una sedia per vedere l’alba, mentre le ultime stelle stanno tramontando. Mi torna in mente una canzone dei sulutumana ANAM…JI  che parla del silenzio scritta in ricordo di TIziano Terzani

…..e il silenzio lassù era voce mutabile, precipitare dell’acqua, della terra le lacrime, il rischiarare del cielo ed era un canto, un volo, era la gola del mondo, il suo respiro più profondo, il suo rimbombo, il suo battito, viene da dove non sai e non sai dove andrai…Anam….scordi i nomi delle stelle e il tuo nome, guarda voli senza ali, guarda sali….non hanno forma o parole, la bellezza e la verità …..chi ha il coraggio di perdersi la via troverà ed il tuo passo leggero apre le porte del mistero tra rivelarsi e nascondersi…

Inizia una nuova giornata che non sappiamo cosa ci riserverà: vediamo una donna con i suoi bimbi e il suo gregge di capre vicino ad un pozzo, i muli carichi di otri d’acqua e tre cavalli con un piccolo puledro, nato da poco, al loro fianco. Entriamo in questo oceano di pietre e di sabbia dove si apre una realtà diversa da tutto quello visto fin’ora, sorprese che ripagano ampiammente le difficoltà e le fatiche per accedervi. Lungo la pista, il paesaggio cambia continuamente, alcune rocce fuoriescono dalla sabbia, si costeggiano magnifiche serie di formazioni tasilliane arenacee che assumono forme stravaganti di castelli e cattedrali lambiti da sinuose lingue di sabbia . Ogni tanto si incontrano piccole case-capanne, a forma di guscio rovesciato, che ai lati della pista spuntano come dal nulla in luoghi inaspettati, sembrano disabitate ma al  rumore dei fuoristrada ecco apparire dei bambini con le loro madri alle spalle. La pista di sabbia spesso diventa rocciosa, mai in piano, gli autisti sono davvero bravi nel trovare il punto giusto per riuscire a superare certi tratti difficili, seppur rispettando la propria posizione prevista nella carovana, ognuno si sceglie il tratto di strada che ritiene migliore. Non trovando come superare certe dune, In molti tratti e per molti km si devono costeggiarle ritrovando infine il passaggio per scendere di quota ma grazie a Piero e alla guida, suo autista, con la grande conoscenza del deserto, sempre diverso per lo spostamento delle dune a causa del vento, trovano dove invertire la rotta per scendere e ritrovare la pista sottostante per proseguire. Per la pausa caffè ci si ferma alla base di un massiccio,mborroni_ciad-360

dandoci così la possibilità di salire a piedi sulla duna che si insinua fra i due picchi per ammirare l’immenso paesaggio che si apre davanti ai nostri occhi.

Un unico alberello cresce su questo pendio , si tratta di callotropis pocera , dai grossi frutti verdi , non commestibili, neanche gli animali li mangiano, quando maturano e si aprono moltissimi semi lanosi trasportati dal vento voleranno sulle sabbie del deserto per nuove piante se troveranno l’acqua . lasciata la duna, poco lontano troviamo delle grotte con il primo sito di incisioni rupestri, ci si inoltra dentro scoprendo sulle pareti o sui soffiti opere di milioni di anni fa, abbondano figure umane isolate o a gruppi, raffigurazioni di animali, cavalli e dromedari, alcuni disegni ben conservati.

Pausa pranzo all’ombra di una grande roccia con insalata di riso, prima di andare a vedere diverse tombe preislamiche costituite ,da grossi mucchi di pietre nere di epoca incerta e di origine vulcanica, probabilmente neolitiche, molto povere, con una o due sepolture e quasi sempre senza suppellettili di valore, in quelle poche che sono state aperte. Sopra una di esse sono riuscito a cadere rimediando contusioni e dolori per la botta all’osso sacro, con l’aiuto degli amici, con crema antidolorifica steso sui materassini usati per la pausa pranzo ho rimediato al forte dolore in modo da proseguire. Nei secoli l’erosione del vento ha creato un paesaggio davvero unico aprendo nelle rocce archi naturali di rara bellezza ed aperture nelle pareti indescrivibili

. Proseguendo, si raggiunge un piccolo villaggio, conosciuto da Piero, per concordare la visita di domani alla guelta di Archei, pagando il relativo contributo al capo villaggio anche per avere la guida che domani ci accompagnerà su per il sentiero del monte prima di scendere al lago. All’esterno del recinto delle capanne, diverse donne fanno un piccolo mercato esponendo la loro merce

costituita collane, conchiglie o pietre recuperate nel deserto, si riprende per arrivare al nuovo campo li vicino, nell’Uadi Archei, per cena dopo un nuovo aperitivo, spaghetti al pesto, zucchine fritte, prosciutto crudo, melone di frutta e tisana calda a finire . Bella la volta celeste da osservare, le galassie, le pleiadi e varie costellazioni, sempre con la testa all’insù.

ciad -ennedi………… 14.11

gruppo

Ora ci siamo tutti, pronti alla scoperta di questo nuovo mondo:

Piero Ravà, guida e capo, e sua moglie Marina.

Boris Kester, olandese, che per lavoro e per passione ha visitato quasi la totalità dei paesi del mondo.

Tiziana Quattrocchi, medico.

Stefana Gavazova, medico di origine bulgara, ma residente a Milano.

Folco Fiocchi e sua moglie Paola Ferrari, di Saronno.

Selena Maltini, di Milano, grande viaggiatrice nei deserti sahariani.

Vittorio Gioni, romano ma nigeriano da oltre 50 anni, una grande persona.

Ursula Castelli, padre italiano, tedesca di Colonia, dai balli, a suo tempo, con Grace Kelly a Monaco, ora nelle tende del deserto.

Reinhard Temp, tedesco di Amburgo, professore di geografia.

Erhard Bielefeld, tedesco di Hannover, ottantenne fisico nucleare-

Vanni Piccoli, grande amico dancalico.

e per ultimo , Mario Borroni.

Negli ultimi giorni si è aggiunto a noi un altro collaboratore di Piero, di ritorno da un altro tour nel Ciad, Pier Paolo Rossi, ricercatore ed esperto di pitture rupestri, autore del libro “VIVERE IL SAHARA”

Cinque sono i fuoristrada, guidati da autisti ciadiani  e nigeriani, con noi un cuoco e due aiutanti.

In totale siamo in ventidue.

Ci aspettano 3300 km , fra pista e fuori pista desertica su vetture 4×4, con tappe quotidiane da 5 o 6 ore. Bivacchi e notte in tenda su materassini, cucina preparata da un cuoco esperto, servita su tappeti sahariani a mezzogiorno, sul tavolo con seggiole la sera.

programma giornaliero

Pur con tutte le possibili varianti che ci potranno essere,  la giornata tipo avrà questi ritmi:

  • sveglia all’alba, circa alle cinque del mattino.
  • ognuno si smonta la propria tenda, portata poi con il proprio materassino numerato sul tappeto sahariano per il successivo carico sui fuoristrada.
  • colazione alle 6 a base di tè, crostini per le marmellata, caffè, rifornimento d’acqua delle borracce, prelevata dai bidoni posti sui fuoristrada per il fabbisogno giornaliero.
  • alle 7,30, mentre i collaboratori di Piero smontano il campo, un breve passeggiata sulle sabbie del deserto per iniziare al meglio la giornata.
  • partenza  verso le 8,30 per arrivare entro sera al prossimo campo che Piero ha già in testa, profondo conoscitore di questi luoghi.
  • a metà mattina, verso le 10,30 pausa caffè con dolci a forma di palline di sesamo.
  • immancabilmente verso le 12, Piero trova sempre l’ombra di un’acacia per il pranzo e un breve riposo.
  • due ore dopo si riparte, paesaggio che cambia sempre, tutto da scoprire, fermandoci solo per sosta tecnica per servizi e per la preghiera di cinque dei collaboratori, mussulmani sunniti, riv0lgendosi verso La Mecca.
  • nell’immenso deserto, con la sua esperienza,  nuovo campo per la notte , sempre poco prima del tramonto, in posti quasi invisibili a noi ma che Piero conosce perfettamente.
  • scaricati borsoni e i materiali, viene montato il nuovo campo, ognuno si prepara la propria tenda, viene acceso il fuoco con la legna raccolta sul posto o in strada, preparata la cena, ogni giorno un menù  diverso.
  • ogni due giorni, possibilmente, un catino d’acqua per il proprio fabbisogno igienico personale.
  • prima di cena, ogni sera un nuovo aperitivo alcoolico preparato da Piero, con i vari liquori che ognuno di noi ha preso a Parigi.
  • sia a pranzo che a cena un primo diverso, seguito da un secondo e un dolce,  acqua e un bicchiere di vino, tisana finale calda a chiusura.
  • due chiacchere in compagnia, tutti a guardare il cielo stellato che solo così nel deserto si riesce a vedere, galassie e costellazioni, cercare di riconoscerle sulla volta celeste avvistando spesso diverse stelle cadenti, l’ultima veramente unica nella sua bellezza .
  • attorno alle 20, dopo una lunga giornata, ognuno alla propria tenda in attesa della nuova alba.

     insciallah

 

ora si comincia davvero

Colazione, in attesa dell’autobus per partire, faccio due passi all’esterno dell’albergo, sempre nel bunker supersorvegliato, con piscina e campo da tennis, qualche albero in mezzo ad aiuole squadrate, semplicità senza nessuna ricerca del bello, anche l’albergo alla luce dell’alba non è niente di speciale, rispetto alle abitazioni di N’Diamena è un superlusso.img_5993 Comincio a conoscere gli altri amici di questa nuova avventura, nella hall dell’albergo trovo Marina, moglie di Piero, e Vittorio, romano ma da cinquant’anni nigerino di Nimey proprietario di un famoso ristorante ad Agadez, un persona davvero unica. Caricati i bagagli sull’autobus , saluto Papik che rientrerà in Italia, si parte fermandosi subito all’hotel cinese, poco distante, per prendere a bordo i tre compagni tedeschi, il programma è nella testa del capo, così sarà per tutto il viaggio, vista la sua esperienza vissuta in prima persona in questo paese. Si esce da N’Diamena percorrendo una lunga strada asfaltata, molto traffico fino alla periferia della città, che non capisco dove sia, ai lati della stessa si susseguono  piccole basse costruzioni fatiscenti adibite sia per abitazioni che per le tante le tante varie attività, che per campare ognuno si dà da fare, niente di diverso rispetto alle altre periferie delle città africane già viste. Strada ora a pedaggio, che viene riscosso ad un quasi casello, fermando il poco traffico con un corda posta trasversalmente, ai lati caserme con alti muri con sopra filo spinato, diversi i posti di blocco si susseguono tenuti da militari armati che fermano la nostra carovana abbassando la corda dopo il controllo dei documenti, permettendoci di  proseguire.  Comincia a far caldo , in Ciad non piove da molti mesi, placidamente greggi di capre pascolano sulle distese di campi di sorgo, già raccolto, ora solo paglia secca con radi cespugli e boschi di acacie spoglie, dal tronco rosso, rallentamenti e gimkane per le molte buche sulla strada, più o meno profonde, in lontananza una raffineria per il petrolio che arriva dal sud del Ciad, realizzata da imprese cinesi che ormai stanno invadendo tutti i mercati africani. A circa 30 km dalla città, in uno slargo a lato della strada, usata anche come cantiere per la costruzione di blocchi squadrati di terra impastata,img_5994lasciamo l’autobus e prendiamo i cinque fuoristrada che ci hanno lì raggiunti, già carichi di tutto il necessario per la durata della spedizione. Per un migliore affiatamento dei componenti del gruppo, Piero chiede che ogni giorno sui fuoristrada vengano ruotati i posti a sedre fra di noi. Alle 13 ci si ferma per pausa pranzo all’ombra di una acacia pèoco prima del villaggio di Ngoura, un panino con frittata e una banana. img_6004Raggiunto il grande villaggio, si lascia la strada asfaltata per continuare in direzione est immersi nell’Africa saheliana, diversi sono gli stagni con acqua dove si abbeverano gli animali, stormi di cicogne che subito si alzano in volo, nelle poche le abitazioni che si incontrano diverse donne, dalle vesti colorate che  i loro bimbi si recano ai pozzi con gli asini per fare scorta d’acqua. A bordo strada, ai lati delle case, vengono accatastati in vari mucchi,  piccoli tronchi e ramaglia di legno, che verranno venduti per il fabbisogno di altre famiglie, contemporaneamente un grosso autocarro stracarico di legname, all’inverosimile, viaggia che più inclinato di così  può solo sperare di non rovesciarsi. Penso a un territorio ormai deforestato, in realtà si tratta del recupero di piante morte sparse pe r sulla sabbia delsahel, un duro lavoro che fanno sopratutto le donne. La prima giornata è corsa velocemente su queste strade o piste, tanta natura selvaggia, molta pastorizia, alle 17 circa primo campo, poco prima del villaggio di Ab Touyour. Siamo in un grande area piana sabbiosa ai piedi di una roccia, montiamo le tende con l’aiuto delle guide, ognuno  trova il  posto che gli aggrada, c’è solo l’imbarazzo della scelta dove mettersi per ascoltare il silenzio della notte, salvo la presenza di russatori, si resta in attesa del sorgere della luna piena. Giornata calda sempre sui 40 gradi, anche di notte, ma niente zanzare .

rumore del respiro

huff , huff……viaggia con le antilopi dirigendosi dove l’acqua e le rocce si incontrano, guarda il fiume scorrere oltre la scogliera. E’ uno spirito femminile che vive e si aggira tra certi spazi naturali. La chiamano mutaforma, una figura divina capace di assumere con facilità la forma di animali. La leggenda narra che sia figlia di Crono e di Cibele, guida e protegge, è messaggera degli Abissi. A volte è invisibile, un essere fiabesco che rappresenta l’elemento aria.

 

 

 

 

 

 

ciad – ennedi………..13.11

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Il Ciad, un paese per me sconosciuto e tutto da scoprire, ex colonia francese, nessuna letteratura di viaggio trovata, nessun articolo e poche fotografie apparse su riviste patinate, solo articoli di cronaca riguardanti i migranti, che dai paesi sud sahariani, attraverso il deserto ciadiano, arrivano in Libia per poi raggiungere Lampedusa e l’Italia. Mi ritrovo in aereoporto a Milano Linate con i primi sei compagni di viaggio, assistiti da Andrea e Tommaso, guide di spazi d’avventura, che ci assistono nel disbrigo delle formalità d’imbarco e, a carico di ognuno di noi, viene consegnato un secondo bagaglio a mano, con provviste e materiale per la spedizione. Si parte per N’Diamena, capitale del Ciad, ex Fort-Lamy, scalo a Parigi e cambio aereo, pochi i  turisti  che salgono, solo ciadiani e diverse donne con abiti e vesti colorate, alcune con i loro bimbi, che rientrano in patria.  Alle 21 si atterra in questo nuovissimo aereoporto, controlli   doganali con solita burocrazia, fotografia e prelievo delle impronte   digitali da entrambe le mani, nell’attesa dei vari controlli incontriamo  gli  altri quattro compagni di viaggio, l’olandese e i tre tedeschi. Tempi  lunghi  prima di passare nell’area degli arrivi per il ritiro bagagli, dove troviamo Piero, Papik, che rientrerà in settimana a Milano, e alcuni collaboratori ciadiani, che conosceremo nei prossimi giorni. I bagagli vengono caricati su un loro autobus con il quale ci trasferiamo all’albergo in città, non molto distante dall’aereoporto, senza rendermi per il buio della notte della realtà che ci circonda. Lasciamo i tre tedeschi in un albergo cinese, per entrare nel nostro, circondato da alte mura, bisogna passare attraverso due cancelli ad ante sfalsate,  con una barra che li divide, controllati a vista da militari armati che passano in rassegna l’autobus con il metal detector, ispezionando con specchi anche la parte sottostante. Due sono gli alberghi inseriti in questa area, il Novotel e l’Ibis, con aree a verde, piscina e campi da tennis. Prima di entrare all’Ibis , dove sono state prenotate le nostre camere, ulteriori controlli da parte di un militare prima della hall, con metal detector frugando in ogni zaino alla ricerca di qualsiasi arma. Ci viene assegnata ad ognuno una camera per la notte e poter fare l’ultima doccia, prima del deserto. Piero ritira i passaporti da portare domattina al posto di polizia per la convalida dell’entrata nel paese, fissa l’incontro per domattina alle 8,30 gia colazionati e pronti per iniziare questa nuova avventura .

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hermann hesse

camminare

di Hermann Hesse , scrittore tedesco , 1877 – 1962 , Uber das Reisen pubblicato per la prima volta in ” Die Zeit ” il 30 aprile 1904

trascrivo due capitoli che mi hanno particolarmente colpito .

sul viaggiare

In un primo momento, quando mi fu suggerito di scrivere qualcosa sulla poesia del viaggiare, mi parve un’allettante opportunità per poter inveire di tutto cuore contro gli orrori del turismo moderno, contro l’insensata smania del viaggio; contro gli squallidi hotel di oggi, contro località turistiche come Interlaken, contro inglesi e berlinesi, contro la Foresta Nera del Baden deturpata e dal costo esorbitante, contro la gentaglia di città che vuol vivere in mezzo alle Alpi come a casa propria, contro i campi da tennis di Lucerna, contro osti, camerieri, stili di vita e prezzi degli hotel, vini locali e costumi regionali contraffatti.   Ma quando una volta, in treno fra Verona e Padova, confessai ad una famiglia tedesca le mie idee in merito, fui pregato con fredda cortesia di tacere; e quando un’altra volta, a Lucerna, presi a schiaffi un cameriere incapace, non fui più pregato, ma costretto con la forza e di corsa a lasciare l’albergo.   Da allora ho imparato a controllarmi.   Ma ricordo anche che, fondamentalmente, durante i miei brevi viaggi mi sono sempre sentito molto felice e soddisfatto e che da ciascuno di essi ho riportato a casa qualche tesoro, a volte grande e a volte piccolo.    Allora perchè lamentarsi.    Circa la questione su come l’uomo moderno dovrebbe viaggiare esistono diversi libri e libretti, ma fra questi non ne conosco nessuno di buono.    Chiunque stia partendo per un viaggio di piacere dovrebbe comunque sapere ciò che fa e perchè lo fa.    Oggi, il cittadino che viaggia non sa perchè lo fa.    Viaggia perchè d’estate fa troppo caldo.    Viaggia perchè cambiando aria e persone e ambienti spera di trovare un pò di riposo dalle fatiche del lavoro.    Viaggia verso i monti tormentato dall’oscura nostalgia di tornare alla natura, alla terra e alle piante; va a Roma perchè è un viaggio culturale.    Ma sopratutto, viaggia perchè tutti i suoi cugini o vicini lo fanno, perchè poi potrà parlarne e vantarsi, perchè è la moda e perchè dopo, a casa, si sentirà di nuovo così piacevolmente a posto.   Tutti questi motivbi sono infatti comprensibili e rispettabili.   Ma perchè il signor Krakauer va Berchtesgaden, il signor Muller nei Grigioni, la signora Schilling a Sainkt Blasien? Il signor Krakauer ci va perchè ha tanti amici che di solito vanno Berchtesgaden, il signor Muller perchè i Grigioni sono lontani da Berlino ed è alla moda, la signora Schilling perchè ha sentito dire che l’aria di Sainkt è cos’ buona. Tutti e tre potrebbero scambiarsi i rispettivi programmi e itinerari di viaggio e sarebbe esattamente lo stesso. Conoscenti se ne possono avere ovunque, il proprio denaro lo si èuò scialacquare dove si vuole e di luoghi con l’aria buona l’Europèa è straordinariamente ricca. Allora perchè Berchtesgaden? O Sainkt Blasien? Qui sta l’errore. Viaggiare dovrebbe sempre significare esperire, sentire profondamente, e si può esperire qualcosa di prezioso solo in luoghi e ambienti in cui s’istituisce un rapporto spirituale.   Una bella escursione occasionale, un’allegra serata in un’osteria qualsiasi, una gita in battello su unb lago qualunque, queste non sono di per sè vere e proprie esperienze capaci di arricchire la nostra vita, se non infondono in noi stimoli forti e duraturi. Potrebbero farlo, ma sarà difficile per uomini come i Krakauer e Muller. Forse perchè per queste persone non esiste luogo della terra con cui possono stabilire rapporti più profondi.   Per essi non c’è paese, costa o isola, nessuna montagna nè antica città, a cui siano attratti dall’idea di un luogola cui vista appaghi i sogni prediletti e la cui conoscenza equivalga ad un tesoro.   Tuttavia i loro viaggi potrebbero essere più felici e più belli, se non proprio devono viaggiare. Prima di partire dovrebbero informarsi, anche solo con una mappa e di sfuggita, sulle caratteristiche esssenziali del paese e del luogo in cui stanno per recarsi, e del rapporto in cui tali luoghi si trovano, per posizione, territorio, clima e popolazione, rispetto alla propria patria e ai luoghi a loro familiari. Se ppoi vanno all’estero dovrebbero cercare di provare empatia con ciò che è caratteristico della regione. Dovrebbero contemplare monti, cascate e città non solo di sfuggita e come attrazione, ma imparare a riconioscerli come necessari e consoni ai luoghi in cui si trovano, e dunque, belli.   Chi ha questa buona volontà scopre da sè i semplici segreti dell’arte di viaggiare.   Enon vorrà bere birra bavarese a Siracusa – e se mai la riuscirà a trovare, la giudicherà stantia e costosa. Non viaggerà in paesi stranieri senza conoscerne, almeno un poco, la lingua.   Non giudicherà paesaggi, abitanti, abitudini, la cucina e i vini nel metro del proprio paese, e non vorrà vedere il veneziano focoso, il napoletano silenzioso, il bernese gentile, il Chianti più dolce, la riviera più fresca, il litorale lagunare più scosceso. Cercherà invece di adattare il proprio stile di vita ai consumi e al carattere del luogo in cui si trova; si alzerà presto a Grindelwald e tardi a Roma, e così via.   E sopratutto, cercherà ovunque di avvicinarsi alla gente del luogo e di comprenderla.  Non girerà in comitive internazionali e non sceglierà hotel internazionali, ma pensioni i cui titolari e dipendenti sono gente del posto o, meglio ancora, presso privati, della cui vita familiare potrà ricevere un quadro della vita di un popolo .   Sarebbe indicibilmente ridicolo chi, durante un viaggio in Africa, volesse montare un cammello con finanziera e cilindro.  Ma si considera una scelta del tutto naturale vestirsi in stile francese a Zermat o a Wengen, parlare tedesco in città francesi, bere vino del Reno a Goshenen e mangiare a Orvieto lo stesso cibo che si mangia a Lipsia .  Se a questo tipo di viaggiatori chiedete che cosa pensino dell’Oberland bernese, vi parleranno indignati dei prezzi praticati dalla ferrovia dello Jungfrau, e se fate cadere il discorso sulla Sicilia sarete informati che laggiù non esistono camere riscaldate, ma che si può provare un’ottima cucina francese.   Se chiedete del popolo e della vita locale vi racconteranno di gente che indossa abiti assolutamente ridicoli e parla un dialetto del tutto incomprensibile. Ma ora basta così .   Volevo parlare della bellezza del viaggiare, non dell’insipienza della gran parte dei viaggiatori.   La poesia del viaggiare non consiste nel ristoro della monotonia del proprio paese, della fatica del lavoro e dei contrasti, non nella compagnia di altre persone e nella contemplazione di immagini diverse, e nemmeno nel soddisfare una curiosità.   La poesia del viaggiare è nell’esperienza, nell’arricchimento interiore, nell’organica assimilazione delle novità vissute, nell’accrrescimento della nostra capacità di comprendere l’unità nel molteplice, il grande intreccio costituito da terra e umanità, nel ritrovare antiche verità e leggi in situazione del tutto nuove.  A tanto ciò si aggiunge cioò che vorrei chiamare il romanticismo del viaggiare: la varietà delle impressioni, l’attesa, serena e ansiosa, di sorprese, ma sopratutto il prezioso piacere di frequentare persone che ci sono nuove ed estranee.  Lo sguardo scrutatore del portiere o del cameriere è uguale a Berlino come a Palermo, ma quello del pastorello retico, che hai sorpreso su un passo sperduto dei Grigioni non lo puoi dimenticare. E non puoi scordare la famiglia di Pistoia, che una volta ti ha ospitato per due settimane.   Potrai forse dimenticarne i nomi, potrai non ricordare nei minimi dettagli i piccoli destini e le minuscole preoccupazioni di quelle persone, ma non dimenticherai mai come, in un’ora felice, ti sei avvicinato prima ai bambini, poi alla piccola pallida donna, quindi a suo marito e al nonno. Perchè con loro non dovevi parlare di cose risapute, non dovevi allacciarti a una raltà stantia e comune; per quelle persone tu eri nuovo ed estraneo come lo erano loro per te, ed eri costretto a lasciar da parte il convenzionale, a basarti solo su te stesso e risalire alle radici del tuo essere per poter dire loro qualcosa. Forse hai parlato di piccole cose, ma parlavi da uomo a uomo, a tentoni e a furia di chiedere, desiderandio solo di conoscere un pò meglio questi stranieri, di conquistarti un pezzo del loro essere e della loro vita per portarlo via con te.  Chi in regioni e in città straniere non rincorre solo le cose famose e più sorprendenti, ma desidera comprenderne la realtà più vera e profonda per coglierla con amore, noterà come gli incontri casuali e le piccole cose gli appariranno rivestite di un bagliore speciale.  Quando penso a Firenze, la prima immagine che ricordo non è il Duomo o l’antico Palazzo della Signoria, ma il piccolo stagnpo con i pesciolini rossi nel giardino di Boboli.    Là, durante il  io primo pomeriggio fiorentino, mi capitò di parlare con alcune donne e con i loro bambini e ascoltai per la prima volta il dialetto fiorentiuno; e fu la prima voltain cui sentii davvero quella città, che tanti libri mi avevanio reso familiare, come qualcosa di reale e vivo, come una città con cui potevo parlare e che potevo afferrare con le mani. E non per questo mi sono sfuggiti il Duomo, Palazzo Vecchio e tutti i monumenti che hanno reso celebre Firenze.  Penso anzi di averli vissuti e fatti miei in  modo migliore e con più passione di tanti scrupolosi turisti con il loro bravo Baedeker, mi tornano in mente in modo netto, unitario, da piccole esperienze marginali; e se pure ho dimenticato qualche bel quadro degli Uffizi, ricordo le serate trascorse chiaccherando in cucina con la padrona di casa, o le notti passatea parlare con uomini e ragazzi, come il loquace sarto di periferia che sotto casa mi ricuciva i calzoni strappati che avevo indosso e nel mentre mi faceva infuocati discorsi politici e canticchiava melpodie di opere e allegre arie popolari. Queste inezie diventano spesso il fulcro dei più preziosi ricordi.  Ed è indimenticabile la bella cittadina di Zofingen, in cui rimasi solo per una breve visita di un paio d’ore,  e dove feci a pugni con un innamorato della figlia dell’oste. E l’incantevole villaggiodi Hammerstein, a sud di Blauen, nel Baden, non sarebbe così vivodo e bello nella mia memoria, con tutti i suoi tetti e i suoi vicoli, se non l’avessi raggiuntoa tarda notte, inaspettatamente, alla fine di una lunga e penosa perigrinazione nella foresta.  Lo vidi all’improvviso, dopo aver doppiato la sporgenza di un promontorio, distendendosi in profondità, sotto di me, quieto e assonnato, una casa stretta all’altra, mentre la luna stava spuntando sullo sfondo. Se fossi arrivato dalla comoda strda principale e lo avessi attraversato, non saprei nulla di tutto questo.   Vi feci sosta per poco più di un’ora, eppure la ricordo ancora come un’immagine bella e cara, e lo sarà per tutta la vita.   E, unita al ricordodi questo piccolo paesino, la vivida impressione di un paesaggio perfetto, caratteristico.   Chi da giovane ha viaggiato con pocom denaro e senza valigia conosce bene queste emozioni.   Una notte trascorsa in un campo di trifoglio o nel fieno fresco, un pezzo di pane e formaggio elemosinato in una baita sperduta, l’ingresso inaspettato in una locanda durante una festa nuziale in paese, e l’invito a parteciparvi, sono tutti ricordi che restano indelebili nella memroria.   Ma non si deve dimnenticare, al di là del fortuito, l’essenziale, nè al di là del romantico, la poesia.   Lasciarsi trasportarein giro e affidarsi alla buona sorte è certamenteuna buona pratica, ma ogni viaggio, se vogliamo viverlo con soddisfazione e come un’esperienza profonda, deve avere un contenuto e un senso ben precisi.   Passeggiare per noia e ottusa curiosità in paesi la cui intima natrura ci resta estranea e indifferente, è sacrilegio e ridicola.  Come un’amicizia o un amore che si coltiva e per il quale si compioni sacrifici, come un libro che con saggezza si è scelto, comprato e letto, così ogni viaggio di piacere o di studio è un atto d’amore che comporta voglia d’amore e spirito di sacrificio. Il suo scopo è quello di rendere un paese e il suo popolo, una ciottà o una regione, patrimonio spirituale del viaggiatore, che con amore e passsione deve scrutare una realtà a lui estranea e sforzarsi con perseveranza di comprendere il mistero del suo essere.  Il ricco commerciante di salumi, che per pura ostentazionee un malinteso senso della cultura viaggia a Parigi o a Roma, non consente nulla di tutto ciò.  Ma chi nei lunghi e ardenti anni della giovinezza ha coltivato dentro di sè il sogno delle Alpi, del mare e delle antiche città d’Italia, ed è finalmene riuscito a racimolare un pò di tempo e di denaro, si imposserà con passione di ogni pietra miliare, di ogni muro di cinta di un monastero benedettino illuminato dal sole e ricoperto di rose rampicanti, di ogni cima innevata e di ogni tratto di mare, e non si lascerà più sfuggire dal proprio cuore prima di averne compreso il linguaggio, prima che sia divenuto vivo quanto per lui era morto, e dotato di parola ciò che per lui era muro.    Costui , in un solo giorno, arricchirà infinitamente la sua esperienza e proverà molte più cose di quanto non possa un rappresentante di moda in anni di viaggi, e porterà con sè per tutta la vita un tesoro di gioia e comprensioone, un senso di felice appagamento.  Chi non ha bisogno di soldi e tempo e ha voglia di viaggiare, dovrebbe sentire il bisogno di appropriarsi spiritualmente, poco alla volta, dei paesi che affascinano i propri occhi e il cuore, e conquistarsi un pezzo di mondo imparando a conoscerlo e a gustarlo lentamente, mettendo radici in molti paesi e raccogliendo le pietre, da oriente e occidente,per costruire lo splendido edificio di una compresione totale della terra e della sua vita.   Devo riconoscere che la maggior parte dei viaggiatori di oggi è costituita da viaggiatori stanchi, che non desiderano altrose non sentire per qualche tempo la vicinanza ristoratrice e la forza consolatoria della vita naturale.  Parlano volentieri della ” natura  ” e nutrono per essa un amore metà timoroso e metà condiscendente.  M dove la cercano e dove la trovano?  E’ un errore piuttosto diffuso quello di pensare che basta recarsi in un bel luogo per essere vicini alla ” natura ” e gustarne le forze e l’effetto consolatorio.  E’ ovvio che l’abitante della grande città, fuggito dalle sue strade roventi, trova rifugio nella frescura e nella purezza dell’aria marina o soggiornando fra i monti.  E tanto basta .  Si sente leggero, respira profondamente, dorme meglio e torna a casa grato nella convinzione di aver godutoin modo giusto della ” natura ” , di averla assorbita.  Non sa, però,  di aver ricevuto da essa solo gli aspetti più fugaci, insignificanti, e di aver lasciato lungo il cammino, senza scoprirle , le cose migliori.  Egli non sa vedere nè cercare nè viaggiare.   La convinzione che sarebbe molto più semplice e più facile accogliere in se una parte di Svizzera e  di Tirolo o un tratto del mare del Nord o della Foresta Nera, piuttosto che farsi una solida idea di Firenze o di Siena, è del tutto sbagliata.   Per chi di Firenze ricorda solo la torre di Palazzo Vecchio e cappella del Duomo, porterà con se di Schlierse soltanto il contorno del Weldelstein e di Lucerna solo un quadro del Pilatus e l’azzurra foschia del lago; ma dopo poche settimane ritroverà il suo piùgenuino bagaglio spirituale povero come lo era prima del viaggio.   La natura, come l’arte e la cultura, non si getta ai piedi dell’osservatore, e proprio dell’uomo impreparato della città esige una dedizione infinita prima di svelarsi e concedersi.   E’ bello, in treno o in auto, oltrepassare il Gottardo, il Brennero o il Sempione; ed è bello viaggiare da Genova a Livorno lungo la riviera o sul vaporetto da Venezia a Chioggia.  Ma di queste visioni resta raramente un patrimonio duraturo.  Solo a uomini straodinariamente fini e di profonda cultura è concesso di cogliere a colpo d’occhio e conservare in se le caratteristiche di un vasto paesaggio.   Nella maggior parte della gente resta solo un’imnpressione generale di aria marina, di azzurro dell’acqua e di contorni delle rive, e anchen questo si cancella ben presto come il ricordo di una scena teatrale.   Questo è ciò che accade a quasi tutti coloro che partecipano a viaggi di gruppo, oggi tanto amati, nel Mediterraneo. Non si deve voler vedere e conoscere tutto. Chi ha percorso da cima a fondo due montagne e due valli delle Alpi svizzere, conosce la Svizzera meglio di chi, nello stesso tempo, ha visitato l’intero paese con un viaggio organizzato.  Ero stato forse cinque volte a Lucerna e a Vitznau e non avevo ancora afferrato completamente l’intima essenza del lago dei Quattro Cantoni, finchè una volta ci trascorsi sette giorni su una barca a remi, da solo, raggiungendo ogni insenatura e osservandolo da ogni prospettiva.   Da allora il lago mi appartiene; da allora, in qualsiasi momento, posso rievocare precisamente, senza immagini nè cartine, ogni sua parte, anche la più piccola, amandola e gustandola di nuovo: la forma e la vegetazione delle sponde,il profilo e l’altezza dei monti, ogni singolo villaggio con il suo campanile e il punto d’approdo, i colori e i riflessi dell’acqua in ogni ora del giorno. Soltanto sulla base di tale rappresentazionechiara e percebile fui capace di comprendere anche le persone che ci vivono, distinguere e capire atteggiamenti e dialetti dei villaggi costieri, volti e cognomi tipici, carattere e storia delle singole cittadine e dei singoli cantoni.   E la laguna veneziana, nonostante il mio ardente amore per Venezia, sarebbe ancora oggi per me una curiosità straniera, incomprensibile e bizzarra, se una volta, stanco di fissare ottusamente il paesaggio, non avessi condiviso per otto giorni e otto notti barca, pane e letto con un pescatore di Trocello.  Remavo lungo le isole, attraversavo a guado con la rete a mano le torbide barre di foce, imparavo a conoscere acqua, flora e fauna della laguna, respiravo e osservavo la sua atmosfera peculiare, e da allora la laguna mi è familiare e amica.    Quegli otto giorni li avrei potuto spendere per Tiziano e Veronese, ma nella barca di un pescatore con la vela triangolare color bruno dorato ho imparato a capire Tiziano e Veronese meglio che all’Accademmia e nel palazzo dei Dogi.   E non solo qualche quadro, ma l’intera Venezia non rappresenta più per me un inquietante enigma, ma una realtà molto più bella che mi appartiene er sulla quale posso esercitare il dirito della comprensione.   Dalla pigra contemplazione di una dorata sera d’estate e dal confortante contatto con l’aria pura e leggera della montagna fino all’intima comprensione della natura e del paesaggio, c’è ancora una strada molto lunga.   E’ meraviglioso starsene sdraiati a oziare per ore su un prato riscaldato dal sole . Ma il pieno godimento, cento volte più profondo e nobile, è concesso solo a colui il quale ha perfetta familiarità con questo panorama, con questo prato, con la sua terra e i suoi monti, i ruscelli, la macchia di ontani e la catena di cime che si slanciano all’orizzonte verso il cielo.    Leggere in questo pezzo di terrale sue leggi, scorgere la necessità della sua conformazione e della sua vegetazione, cogliere il legame che l’unisce alla storia, all’indole, all’architettura, alla lingua e ai costumi degli abitanti: tutto ciò esige amore, dedizione, esercizio.    Ma ne vale la pena.   In un paese che con zelo e amore ti sei reso familiare e si è fatto tuo,  ogni prato, ogni roccia sulla quale hai sostato ti rivela tutti i loro segreti e ti infonde l’energia che ad altri nonè concessa.   Voi dite che non tutti possono studiare come geologi, storici, dialettologi, botanici ed economisti il pezzo di terrasu cui si è scelto di ttrascorrere una settimana.   Naturalmente no.   Si tratta di sentire, non di conoscere dei nomi.   La scienza non ha anncora reso beato nessuno.  Ma chi sente la necessità di non camminare a vuoto, di sentirsi vivere costantemente nel tutto ed essere parte integrante del tessuto del mondo, apre ovunque spontanamente gli occhi su ciò che è peculiare, autentico, legato alla terra.    Ovunque nel suolo, negli alberi, nei profili montuosi, negli animali e negli uominidi una terra egli riuscirà a percepire un elemento comune, un punto fermo su cui concentrare tutta la sua attenzione, invece di rincorrere il caso.   E scoprirà che questo elemento comune, tipico, si manifesta anche nei più piccoli fiori, nelle più delicate colorazioni dell’aria, nelle più lievi sfumature del dialetto, delle forme architettoniche, dei balli e canti popolari, e a seconda della sua disposizione un detto  popolare o un profumo di foglie o un campanile o un piccolo fiore non diventeranno la formula che racchiude in modo sicuro e coinciso tutta l’essenza del paesaggio.   Ed è una formula che non si dimentica.   Ma ora basta.   Solo una cosa vorrei aggiungere ancora : io non credo a un particolare ” talento per il viaggio” , di cui spesso si parla. Coloro che viaggiano e sono ben presto capaci di rendersi familiare un paese straniero, che sono capaci di cogliere ciò che è autentico e prezioso, sono le stesse personeche hanno saputo riconoscere un senso alla vita in sè, e che sanno seguire la propria stella.   La forte nostalgia per le fonti della vita, il desiderio di familiarizzare con tutto ciò che esiste, opera, cresce, è la loro chiave per i misteri del mondo, che essi inseguono entusuiasti e felici non soltanto durante i loro viaggi in terre lontane, ma anche nel ritmo della vita e dell’esperienza di ogni giorno .

 

passeggiata sul lago di como

Il pomeriggio inoltrato oscillava esitante tra un sereno ventoso e una timida pioggia. Faceva freddo e dai monti occhieggiava il pallore della neve fresca. Ero sceso a Como perchè, giungendo dal Gottardo, mi pareva il modo più bello per entrare sul suolo italiano. Si è ancora vicini ai monti ma già si percepisce la pianura, la vasta e silenziosa fertilità. La cittadina di Como ha una buona impronta di Italia settentrionale;  è pulita, agiata, cordiale e ospitale.   Diversamente da Lugano e da tutte le celebri cittadine lacustri, Como volge le spalle al lago, e anche nel grazioso piazzale del porto non si trova la tediosa e inquietante sensazione di sedere in prima fila davanti ad un paesaggio creato ad arte, con il biglietto in tasca e l’obbligo di godere del bello spettacolo. L’unica cosa fuori luogo, a Como, è lo scosceso pendio sulla cui sommità si trova Brunate, con squallidi edifici pretenziosi ed enormi cartelli con su scritto Porta o Fernet Branca a caratteri cubitali. Ma se si volge le spalle a questi e al lago, ci si scopre in una città piacevole e vivace, ricca di antiche bellezze e che non evoca mai la sensazione di trovarsi in un museo. Lo straniero è tollerato con gentilezza, non viene visto come una bestia rara nè sfruttato come un oggetto. La vita dei vicoli ha tutto il fascino italiano: gli artigiani lavorano canticchiando fuori dalle botteghe, le belle ragazze e le donne hanno le agili movenze di uccelli aggraziati, senza gravità nè civetteria, se non quelle consone all’uccello e alla farfalla.   Quando dopo una tranquilla passeggiata nei vicoli arrivai sul piazzale del porto, il tempo sembrava promettere al meglio, e poichè proprio in quel momento un vaporetto fischiava la partenza, mi affrettai sul pontile e partii senza sapere dove andavo.   Usciti dal modesto bacino di Como, che non ospita altro che il grande porto, e costeggiando ville e giardini, penetrammo nel ramo maggiore del lago.   Il vento freddo spazzava la piccola tolda e i pochi passeggeri si accalcavano vicino alle macchine.   Non sono mai riuscito ad amare davvero questo lago.  E’ troppo bello e radioso e pare ostentarela sua ricchezza; ma gli manca la cosa più bella che un lago possa avere: una riva calma e ampia.   I monti sono di un’altezza opprimente e sembrano precipitare implacabilmente scoscesi: spogli e selvaggi in alto, sovraccarichi di paesini, giardini, case estive e locande di lusso in basso.  Tutto è splendida realtà, vicina, ostentata, tutto brilla e risplende come in un magnifico spettacolo.   Non vi è un solo luogo rimasto libero per il sognoe il presentimento; non un canneto paludoso, non un’umida riva erbosa o un’ammaliante macchia di arbusti.   Eppure, ancora una volta, questa bellezza mi sedusse e mi incantò: il romanticismo rupestre dei villaggi scoscesi, la severità consapevole delle ville aristrocratiche con giardino, parco e darsena, la socievole vicinanza di campi e fabbricati.   Uno di questi paesini, si chiama Torno, si allungava sulla sua vezzosa lingua di terracon una tale eleganza che fui tentato di scendere a terra.  Il battello, costeggiando la sponda, rincorse una gioviale insenatura; lì, dietro il verde di giovani faggi scendeva una lunga e silenziosa cascata, magicamente bianca e velata, così nascosta e silenziosa che mai ne avrei sospettata l’esistenza in quel luogo.  Il villaggio era piccolo, leggermente in salita lungo il monte e offriva dal lago un’incantevole scenografia, esibita in un perfetto lindore: un’ampia gradinata di pietra che fungeva da attracco e lavatoiio, ai suoi piedi alcune barche ormeggiate, una casa ricoperta di vegetazione col portone ad arco e piccoli balconi, una tranquilla piazza in chiara pietra, e dietro la facciata e il campanile di una bella chiesa, un delicato muro a semicerchio sovrastato da giovani alberi.   Era un quadro perfetto, così incantevole che non volli rischiare di spezzarne l’armonia: restai fermo al mio posto e lasciai che quel piccolo gioiello mi sfilasse davanti, e si allontanasse, e rimpicciolisse, lo ringrazia con un cenno del capo e glim dissi addio.   Dell’amore a prima vista ho trovato più spesso conferma davanti a dipinti o architetture, che non a dei paesaggi.    A Moltrasio, dall’altra parte di quel ramo del lago, il battello fece sosta e venni a sapere che si sarebbe fermato per un’ora per poi fare ritorno a Como. Così scesi e cominciai a gironzolare per il paese con un piacevole senso di estraneità.  A parte una silenziosa e imponente villa, con le imposte chiuse sulla sua facciata liscia e composta, non c’era nulla di particolare da vedere.  Mi fermai di fronte all’alto cancello in ferro e sbirciai dentro il giardino, che saliva in un placido declivio ed era disposto secondo una rigorosa simmetria; sopra a un piccolo lago ovale erano in fioritura le camelie, e nel pratogli astri, dove un largo viale principesco conduceva fino alla casa.   Proseguii e presi il primo viottolo che saliva verso il monte, costeggiai innumerevoli gradini e arrivai a un alto muro senza fine; al di sopra di questo, in piccole terrazze, gli alti cipressi piantati in modo regolare accompagnavano il declivio severi e regolari.  Spuntavano delle case, sentii l’acqua di una cascata insieme ad alcuni suoni umani provenienti dai vicoli vicini.  Stretto ed oscurato dai tetti, il viottolo conduceva al piccolo piazzale di una chiesa.    Entrai e la trovai vuota.  Mi fermai per alcuni istanti davanti al coro e ai suoi graziosi affreschi di bei colori, poi tornai indietro e proseguendo sotto un portico mi trovai a unn tratto su un ponticello dall’arcata modesta.   Sopra di me scendeva ripido e spumeggiante un impetuoso torrente che più in basso, dopo tre o quattro ardite cascate, raggiungeva la valle sotto alti ponti aerei, tra mura coperte di muschio e verdi siepi.   Passarono ragazze graziose che portavano acqua in recipienti di rame che reggevano sul capo, ondeggiando attraversarono uno dei ponti e sparirono nell’umida penonbra dim quei vicoli angusti.  Avanzai ancora verso la cima del monte, costeggiando orti seminati da poco; di tanto in tanto il mio sguardo andava verso il fondo della valle e la distesa del lago.  Era ormai trascorsa l’ora e cominciai a guardarmi intorno cercando la via che mi riportasse all’approdo.   A un tratto capitai su un sentieron erboso fra due ali di alti cipressi; in alto e in basso muri di confine dei grandi giardini ricoperti di verde; più vicino, grigio e corroso dal tempo, un campanile cadente: un paesaggio freddo e taciturno, immerso in un torpore incantato.   Cercando la strada il mio sguardo percorse, sulla sinistra, il lungo muro di cinta iun giardino.  Lo trovai interrotto da un buco fosco e nero delle dimensiuoni di una finestra, che mi incuriosì.  Mi avvicinai.  Nell’antica muratura si apriva una profonda nicchia buia e chiusa da una grata di ferro, e dietro alla grata brillava sinistro uno strano chiarore. Mi avvicinai e vidi che si trattava di una grande piramide di teschi umani, che accatasti a ricordo dei morti e monito peri vivi, erano resistiti nell’oscurità del tempo.  La loro vista non era nuova: anche in Austria e in Alsazia avevo visto simili piramidi di teschi e non l’ho mai appezzati particolarmente.  Questa che vedevo, invece, mi affascinò, e ancora oggi è per me indimenticabile. Lo è perchè quella cupa inferriat nera, dietro la quale sghignazzavano nel loro rigido schieramento i segni della caducità umana, era stata adornata da mani infantili di freschi boccioli di camelia di un rosa pallido.   E nella mia memoria, più ancora della gita in battello sul lago e dello splendore delle sue sponde, più intenso della cascata e del coro affrescato, è rimasto scolpito questo puro e infantile gioco di fiori sulla grata dei teschi.

altre letture

vagabondaggio ………………………..1920

il piacere della natura……………….1908

sul gottardo………………………………1905

azzurra lontananza…………………..1904

fulgore invernale………………………1905

giornate d’inverno nei grigioni…1905

voglia di viaggiare…………………….1913

giardino di boboli……………………..1901

camminare in primavera…………..1920

13 – servas -ospitalità in como…3.11.2016

da Stoccolma , Svezia

andrea andersson

solo il 3 novembre 2016

E-mail address :  doesn’t exist ……tel. 08-53250268

berit almèr

 

L’impegno di una amica servas, impossibilitata in questo periodo ad ospitarli, mi ha permesso di conoscere queste due signore svedesi, rimaste a Como per un solo giorno. Per me nessuna difficoltà ad incontrarle, solo il dubbio per le condizioni amosferiche di questi giorni di pioggia in modo da organizzare al meglio questo breve soggiorno in città e possibilmente visitare qualche villa sul lago. Un ospite, sia che appartenga a servas o che arrivi a casa per qualsiaisi altro motivo, per me è sempre una persona importante, aiuta a creare nuove amicizie, nel tempo si riceverà sempre di più di quel poco che ora posso dare. Riceverle in stazione, accoglierle con un abbraccio e con un sorriso di benvenuto è stato veramente bello per iniziare assieme una bella giornata, piena di sole. Prima a casa, per conoscerci meglio e scambiarci le nostre esperienze, decidere come muoversi e cosa riuscire a vedere nel poco tempo a disposizione. Andrea , servas di Stoccolma, un’insegnante di musica, ama suonare il sax, canta e fa mille altre cose. 20161103_131654Una breve pausa per colazione in un bar in piazza san Fedele, poi la visita alla basilica di san Fedele, uno dei gioielli di Como. Subito dopo in macchina a villa Carlotta, a Tremezzo, per vedere la villa e il suo giardino, pur non essendo la stagione migliore per i fiori , trovandola purtroppo chiusa. Decidiamo di andare alla  villa del Ballbianello a Lenno, previa telefonata per assicurarci la sua apertura; questa è una proprietà del F A I, un altro gioiello meraviglioso del lago di Como, visitato quest’anno da migliaia di turisti provenienti da tutto il mondo. Da Lenno si raggiunge la villa con una breve passeggiata percorrendo una sterrata nel bosco costeggiando il lago; una guida italiana ci accompagna per la visita alle stanze raccontandoci la vita di G. Monzino, ultimo proprietario della stessa, prima di donarla al  F A I: incredibile è stata, per queste due amiche, la parola ripetuta più volte durante la visita, per la bellezza di quanto  hanno potuto vedere, sia nella villa che dalle finestre affacciate sul lago con vari scorci e da varie angolature, in una bellissima giornata di sole.

Un piatto tipico a base di pizzoccheri in un ristorante sul lago, prima di tornare a Como dove siamo riusciti pure a visitare la basilica di sant’Abbondio, altro gioiello architettonico di Como. Una pausa per il te a casa, parlando di viaggi passati o futuri, di Stoccolma e del loro paese, delle loro case immerse nelle natura situate a 30 km dalla città, vicine ai laghi dove vanno ad abbeverarsi le alci. Ultima visita al Duomo, prima di riaccompagnarle in stazione con un arrivederci a un domani qualsiasi. Grazie a loro, ho trascorso una bella giornata, nessun problema per la lingua, Andrea con un pò di italiano ed io con il mio poco inglese ci siamo capiti benissimo.