Borges

faccio mio questo capitolo del libro di Federico Pace – SENZA VOLO –

                                                          La biblioteca e il fiume

Durante una conversazione avvenuta sulle onde radio , Jorge Luis Borges,  nel lontano 1984, disse a proposito del viaggio che ” se si considera non dico la vastità dell’universo, ma del pianeta, ciò che un uomo può vedere è ben poco” . Il mondo, per utilizzare une delle metafore più care dell’allievo di M acedonio Fernandez , apppare come un’infinita biblioteca e ciascun luogo un libro . E se Borges diceva di non aver letto molto, quando pensava alla vastià delle biblioteche, così allo stesso modo, ciascun viaggiatore pare perdersi di fronte alla vastità del mondo. Tante le destinazioni o i luoghi da vedere , che è facile perdersi di fronte a quell’infinita biblioteca che è il pianeta . Seppure tanti sono i luoghi che ciascuno può avere visitato, ancora di più e infiniti , sono quelli che ancora non ha mai visto. E altrettanti sono quelli , che seppure visitati una volta, sono intanto cambiati, mutati, trasformati. Un monarca che è stato deposto, un muro che è crollato o una foresta che viene depredata. Uno dei libri con più pagine della biblioteca del pianeta è il lungo corso d’acqua della Cina . Grande Fiume, Fiume Azzurro, Yaangtze Kiang, Chiang Jang. Già dai nomi pare inafferrabile. Esso da solo pare essere un intero pianeta che non può essere conosciuto per intero. O  raccontato. O navogato. Il fiume dai tanti nomi è lungo seimila chilometri, ha un carattere irruente e tempestoso. Nel suo naturale procedere ridisegna il paesaggio ed è come se rimodellasse le montagne , scavasse le anse e trasformasse continuamente la terra che attraversa. ……………..

ryszard kapuscinski

da ” autoritratto di un reporter “

Quello che scrivo risulta dalla somma di 3 fattori, il primo fondamentale è il viaggio in se, inteso naturalmente come viaggio di studio, tra l’antropologia e l’etnografico. Per me significa una grande fatica fisica e uno sforzo mentale, perchè bisogna essere sempre concentrati. Si deve sempre pensare che ci si trova in luoghi dove forse non si tornerà mai più, che si vive forse un momento unico della propria vita e quindi si deve cercare di osservare e ricordare ogni cosa, conoscere o meglio fagocitare il più possibile. Il secondo fattore sono le letture prima di partire, cerco di leggere un’enorme quantità di libri sul luogo, sulla cultura e sulla storia del luogo nel quale mi reco. Ho una biblioteca di consultazione composta da migliaia di volumi, cerco di non ripetere quello che ho già scritto, di introdurre qualcosa di nuovo. Il terzo fattore è la riflessione personale.

Esistono vari modi di viaggiare. La maggior parte della gente -le statistiche parlano addirittura del novantacinque per cento – parte per riposarsi. Vuole scendere in alberghi di lusso in riva al mare e mangiare bene, non importa se alle Canarie o alle isole Figi. I giovani compiono viaggi di tipo agonistico, come cimentarsi nell’attraversamento dell’Africa da nord a sud, o navigare sul Danubio in kajak. Non si interessano della gente incontrata per strada: il loro scopo è di mettersi alla prova, la soddisfazione di superare le difficoltà. Certi viaggi nascono per motivi di lavoro o di necessità – anche gli spostamenti dei piloti di linea e quelli dei profughi sono una particolare forma di viaggio. Per me il viaggio più prezioso è quello del reprtage, il viaggio etnografico o antropologico intrapreso per conoscere meglio il mondo, la storia, i cambiamenti avvenuti, in modo da trasmettere agli altri le conoscenze acquisite. Sono viaggi che richiedono concentrazione, ma che mi permettono di capire il mondo e le leggi che lo regolano.

Più si conosce il mondo, più ci rendiamo conto della sua inonoscibilità e sconfinatezza: non tanto in senso spaziale, ma nel senso di una ricchezza culturale troppo vasta per essere conosciuta.

QUANTO ANCORA DOBBIAMO IMPARARE DA LUI

 

mark twain

In questa Italia che non capisco

Capitolo IV

Siamo partiti da Milano in treno.    Il Duomo, sei o sette miglia dietro di  noi, montagne enormi, montagne irreali e azzurrognole, coperte di nevi,  una ventina di miglia davanti a noi – questi gli elementi più significativi del panorama che ci  circondava in  lontananza .    A  distanza più ravvicinata, invece, all’esterno della carrozza ferroviaria il  paesaggio era costituito da campi coltivati e da fattorie, mentre, all’interno del vagone, avevamo davanti un nano con una testa gigantesca e una donna con tanto di baffi.   Ma non è che fossero gente di spettacolo.     Ahimè, deformità  e barbe femminili sono una faccenda fin troppo comune, in Italia, per  stupirsene.     Siamo passati accanto a una fila di colline pittoresche e selvagge, dai fianchi ripidi e coperti di vegetazione, a forma di cono, con picchi frastagliati  che si levano quì e là, con abitazioni e castelli in rovina arroccati in cima, fin quasi a sfiorare le nubi che passano. Abbiamo pranzato nella curiosa antica cittadina di Como, ai piedi del  lago, poi abbiamo preso il vaporetto e nel pomeriggio abbiamo fatto una gradevole escursione a Bellagio.   Non appena siamo sbarcati, un gruppo di poliziotti ( il cui tricorno e la vistosa uniforme farebbero sfigurare anche la divisa più bella dell’esercito degli Stati Uniti ) ci ha fatto entrare in una piccola cella dove ci hanno chiusi dentro.   A farci compagnia, c’erano tutti i passeggeri del vaporetto, ma avremmo preferito molto di più che non ci fossero, perchè non c’era luce, non c’erano finestre e mancava l’aria.  Insomma, l’ambiente era stretto e afoso, per cui eravamo stipati come sardine.   In scala ridotta era il Buco Nero di Calcutta. Dopo un poco, all’altezza dei piedi è iniziato a diffondersi del fumo – un fumo che puzzava di tutte le cose morte della terra, di tutto il marciume e le putrefazioni immaginabili.   Siamo rimasti chiusi li dentro per cinque minuti, e quando finalmente siamo usciti sarebbe stasto difficile dire chi di noi avesse l’odore più disgustoso .   Questi miserabili reietti hanno detto di averci “fumigato”, un termine decisamente eufemistico. Ci hanno sottoposto a fumigazione per proteggerci contro il colera, sebbene non provenissimo da nessun porto infetto.   Ci eravamo sempre lasciato il colera alle spalle.   Tuttavia, in un mopdo  o nell’altro devono sempre difendersi dalle pidemiem, e la fumigazione è più economica del sapone.  O decidono di lavarsi oppure sottopongono a fumigazione il prossimo. Alcuni individui delle classi più umili preferirebbero morire piuttosto che lavarsi, mentre la fumigazione degli stranieri non procura loro alcun rimorso.  Quanta alla gente del luogo, non ha alcun bisogno di sottoporsi a fumigazioni, in quanto le loro abitudini rendono inutile una simile pratica. Hanno già inb se un rimedio preventivo assai efficace: sudano, e si suffimacano da soli tutto il santo giorno.  Credo d’essere un cristiano alquanto umile e coerente, e cerco sempre di fare ciò che è giusto.  So che è mio dovere “pregare per i miei persecutori” e quindi, per quanto mi risulti difficile, cercherò sempre di pregare comunque per questi tiranni suffimicanti con la pancia piena di maccheroni. Il nostro albergo -o quantomeno il giardino sul davanti- si trova in riva al lago, e al tramonto, mentre fumiamo, passeggiamo pigramente fra i cespugli; da lontano, scorgiamo la Svizzera e le Alpi, e avvertiamo una certa pigrizia all’idea di recarci fin lassù per guardare quei luoghi da vicino; scendiamo i gradini del molo e facciamo una nuotata nel klago; prendiamo una bella barchetta e veleggiamo al largo fra i riflessi delle stelle; ci distendiamo sui banchi dei vogatori e restiamo in ascolto delle risate, dei canti,  delle dolci melodie dei flauti e delle chitarre, che udiamo a distanza e che provengono da gondole di diporto che solcano il lago; infine concludiamo la serata giocando irritatanti partite al biliardo su uno di quei soliti vecchi tavoli, che siano stramaledetti.   Una cenetta di mezzanotte nella nostra ampèia camera  da letto; un’ultima fumata nella piccola veranda che s’affaccia sul  lago, sui giardini e verso le montagne; la rassegna degli eventi della giornata appena trascorsa….. E poi a dormire, con la testa assonnata e tormentata dsa un folle girotondo, un girotondo d’immagini mescolate tra loro…….la Francia, l’Italia, la nave, la casa….una confusione grottesca che confonde la mente. Poi i volti familiari si dileguano, e con loro si dileguano le immagini delle cittàe delle onde agitate, in una grande calma fatta di oblio e di pace.   Dopo di che, l’incubo.   Al mattino, la colazione e poi il lago.   Non mi è piaciuto ieri. Tra me e me, ho pensato che il lago Tahoe sia molto più bello. Ora devo confessare, però, d’essermi in qualche modo sbagliato, sebbene non poi così tanto. Sono sempre stato convinto che il lago di Como fosse un ampio bacino pieno d’acqua, come quello di Tahoe, cinto da grandi montagne. Ebbene, qui le le grandi montagne ci sono, ma quanto al lago….beh non è affato un bacino. E’ tortuoso come un ruscello,e, quanto alla larghezza, è solo tra un quarto e due terzi di quella del Missisippi.   Su entrambe le sponde, non c’è neanche un palmo di di terreno pianeggiante o che degradi dolcemente verso l’acqua – nient’altro che catene interminabili di monti che, da un’altezza che varia dai mille ai duemila piedi, cadono a picco in acqua. I pendii scoscesi sono interamente coperti di fitta vegetazione, e comunque, tra il fogliame rigoglioso, fanno capolino le macchie bianche delle abitazioni; se ne vedono perfino arroccate in alto in alto, sulla cima di spuntoni pittoreschi di roccia a strapiombo, a oltre mille piedi d’altezza.  Anche qui a Como, per miglia e miglia lungo le coste del lago, eleganti residenze di campagna, circondati da parchi e boschetti, sorgono proprio al livello dell’acqua, talvolta in angoli nascosti scavati dalla natura tra le ripide pareti coperte di rampicanti, e che si possono raggiungere solo dal lago per mezzo di un’imbarcazione.   Alcune di queste residenze hanno ampie e grandi scalinate di pietra che scendono verso il pelo dell’acqua, dotate di pesanti balaustre ornamentali decorate con statue e resi più eleganti da bellissimi rampicanti e da fiori vivacemente colorati – insomma, come il sipario di un teatro, in cui mancano solo le donne con l’abito dalla vita alta, i tacchi alti, e i cicisbei piumati in calzamaglia di seta che scendono giù dalla scalinata per andare a cantare la serenata a bordo della bellissima gondola che li sta aspettando.    Quello che contribuisce a rendere Como così gradevole e invitante, sono senz’altro le numerose e belle ville con i loro parchi e giardini che sorgono qui e là sulle rive del lago e sui pendii delle montagne.   Hanno un’aria così accogliente e così familiare, specie verso sera quando ogni cosa sembra assopirsi e la musica delle campane dei vespri scivola quasi furtivamente sul pelo dell’acqua, tanto da convincersi che in nessun altro luogoche non sia il lago di Como sia possibile trovare un simile paradiso di pace e tranquillità.   Qui a Bellagio, dalla finestra della mia stanza arrivo a scorgere l’altro lato del lago, la cui vista è bellissima, come fosse dipinta.   Una parete a precipizio, scabrosa e accidentata, si staglia per un’altezza di milleottocento piedi; su una piccola sporgenza a metà altezza di quell’ampia parete si trova una chiesetta simile a un  fiocco di neve, all’apparenza non più grande di una casetta per uccelli; lungo tutta la base di quella ripida parete, vi sono un centinaio di boschetti di aranci e di giardini, punteggiati qui e là da bianche abitazioni nascoste in quella fitta vegetazione; sul davanti, tre o quattro gondole galleggiano pigramente sull’acqua – e nello specchio brunito del lago, la montagna,la cappella, le case, i boschi, gli aranceti e le barche si riproducono in modo così limpido e così vivido che riesce difficile distinguere dove finisce la realtà e dove inizia il riflesso!   Anche i d’intorni di questo luogo così pittoresco sonio belli. A un miglio di distanza, un promontorio interamente ricoperto di fitta vegetazione si protende lontano nel lago, e il palazzo che sorge sulla punta si riflette nelle profonde acque blu; al centro del lago, un’imbarcazione solca veloce la superficie che scintilla al sole e si lascia una lunga scia alle spalle, simile a un raggio di luce; poco più avanti le motagne sono velate da un’indistinta bruma violacea; in lontananza ma nella direzione opposta, una distesa confusa di cime tondeggianti e di pendii e valli verdeggianti costituisce il punto estremo del lago, particolarmente suggestivo, a causa della distanza che conferisce un tocco magico al panorama – perchè su queste enormi tele il sole e le nubi e i cieli più intensi hanno miscelato insieme migliaia di sfumature diverse di colore, e sulla loro superficie trascolorano, ora dopo ora, le luci e le ombre vaporose, e conferisconoa quei panorami una bellezza che sembra emanare dal paradiso stesso.  Senza ombra di dubbio, è la vista più voluttuosa che fino ad oggi abbiamo ammirato.   Ieri sera lo scenario che si è rivelato ai nostri occhi era suggestivo e pittoresco.   Sulla sponda opposta gole e alberi e case candide come la neve si specchivanio nel lago con una nitidezza che lasciava a bocca aperta, e raggi di luce riflessi da molte delle finestrre lontane, si riflettevano a distanza sulle acque tranquille.  Sul nostro versante, non molto distante da noi, gran di ville, illuminate dal chiaro di luna spiccavano nettamente in contrasto con la fitta vegetazione che s’immergeva nera e informe fra le ombre che cadevano dalle rocce sovrastanti – mentre più in basso, e cioè lungo il bordo del lago, s’intravedeva, fedelmente replicata, ogni caratteristica di quella strana visione.

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hermann hesse

camminare

di Hermann Hesse , scrittore tedesco , 1877 – 1962 , Uber das Reisen pubblicato per la prima volta in ” Die Zeit ” il 30 aprile 1904

trascrivo due capitoli che mi hanno particolarmente colpito .

sul viaggiare

In un primo momento, quando mi fu suggerito di scrivere qualcosa sulla poesia del viaggiare, mi parve un’allettante opportunità per poter inveire di tutto cuore contro gli orrori del turismo moderno, contro l’insensata smania del viaggio; contro gli squallidi hotel di oggi, contro località turistiche come Interlaken, contro inglesi e berlinesi, contro la Foresta Nera del Baden deturpata e dal costo esorbitante, contro la gentaglia di città che vuol vivere in mezzo alle Alpi come a casa propria, contro i campi da tennis di Lucerna, contro osti, camerieri, stili di vita e prezzi degli hotel, vini locali e costumi regionali contraffatti.   Ma quando una volta, in treno fra Verona e Padova, confessai ad una famiglia tedesca le mie idee in merito, fui pregato con fredda cortesia di tacere; e quando un’altra volta, a Lucerna, presi a schiaffi un cameriere incapace, non fui più pregato, ma costretto con la forza e di corsa a lasciare l’albergo.   Da allora ho imparato a controllarmi.   Ma ricordo anche che, fondamentalmente, durante i miei brevi viaggi mi sono sempre sentito molto felice e soddisfatto e che da ciascuno di essi ho riportato a casa qualche tesoro, a volte grande e a volte piccolo.    Allora perchè lamentarsi.    Circa la questione su come l’uomo moderno dovrebbe viaggiare esistono diversi libri e libretti, ma fra questi non ne conosco nessuno di buono.    Chiunque stia partendo per un viaggio di piacere dovrebbe comunque sapere ciò che fa e perchè lo fa.    Oggi, il cittadino che viaggia non sa perchè lo fa.    Viaggia perchè d’estate fa troppo caldo.    Viaggia perchè cambiando aria e persone e ambienti spera di trovare un pò di riposo dalle fatiche del lavoro.    Viaggia verso i monti tormentato dall’oscura nostalgia di tornare alla natura, alla terra e alle piante; va a Roma perchè è un viaggio culturale.    Ma sopratutto, viaggia perchè tutti i suoi cugini o vicini lo fanno, perchè poi potrà parlarne e vantarsi, perchè è la moda e perchè dopo, a casa, si sentirà di nuovo così piacevolmente a posto.   Tutti questi motivbi sono infatti comprensibili e rispettabili.   Ma perchè il signor Krakauer va Berchtesgaden, il signor Muller nei Grigioni, la signora Schilling a Sainkt Blasien? Il signor Krakauer ci va perchè ha tanti amici che di solito vanno Berchtesgaden, il signor Muller perchè i Grigioni sono lontani da Berlino ed è alla moda, la signora Schilling perchè ha sentito dire che l’aria di Sainkt è cos’ buona. Tutti e tre potrebbero scambiarsi i rispettivi programmi e itinerari di viaggio e sarebbe esattamente lo stesso. Conoscenti se ne possono avere ovunque, il proprio denaro lo si èuò scialacquare dove si vuole e di luoghi con l’aria buona l’Europèa è straordinariamente ricca. Allora perchè Berchtesgaden? O Sainkt Blasien? Qui sta l’errore. Viaggiare dovrebbe sempre significare esperire, sentire profondamente, e si può esperire qualcosa di prezioso solo in luoghi e ambienti in cui s’istituisce un rapporto spirituale.   Una bella escursione occasionale, un’allegra serata in un’osteria qualsiasi, una gita in battello su unb lago qualunque, queste non sono di per sè vere e proprie esperienze capaci di arricchire la nostra vita, se non infondono in noi stimoli forti e duraturi. Potrebbero farlo, ma sarà difficile per uomini come i Krakauer e Muller. Forse perchè per queste persone non esiste luogo della terra con cui possono stabilire rapporti più profondi.   Per essi non c’è paese, costa o isola, nessuna montagna nè antica città, a cui siano attratti dall’idea di un luogola cui vista appaghi i sogni prediletti e la cui conoscenza equivalga ad un tesoro.   Tuttavia i loro viaggi potrebbero essere più felici e più belli, se non proprio devono viaggiare. Prima di partire dovrebbero informarsi, anche solo con una mappa e di sfuggita, sulle caratteristiche esssenziali del paese e del luogo in cui stanno per recarsi, e del rapporto in cui tali luoghi si trovano, per posizione, territorio, clima e popolazione, rispetto alla propria patria e ai luoghi a loro familiari. Se ppoi vanno all’estero dovrebbero cercare di provare empatia con ciò che è caratteristico della regione. Dovrebbero contemplare monti, cascate e città non solo di sfuggita e come attrazione, ma imparare a riconioscerli come necessari e consoni ai luoghi in cui si trovano, e dunque, belli.   Chi ha questa buona volontà scopre da sè i semplici segreti dell’arte di viaggiare.   Enon vorrà bere birra bavarese a Siracusa – e se mai la riuscirà a trovare, la giudicherà stantia e costosa. Non viaggerà in paesi stranieri senza conoscerne, almeno un poco, la lingua.   Non giudicherà paesaggi, abitanti, abitudini, la cucina e i vini nel metro del proprio paese, e non vorrà vedere il veneziano focoso, il napoletano silenzioso, il bernese gentile, il Chianti più dolce, la riviera più fresca, il litorale lagunare più scosceso. Cercherà invece di adattare il proprio stile di vita ai consumi e al carattere del luogo in cui si trova; si alzerà presto a Grindelwald e tardi a Roma, e così via.   E sopratutto, cercherà ovunque di avvicinarsi alla gente del luogo e di comprenderla.  Non girerà in comitive internazionali e non sceglierà hotel internazionali, ma pensioni i cui titolari e dipendenti sono gente del posto o, meglio ancora, presso privati, della cui vita familiare potrà ricevere un quadro della vita di un popolo .   Sarebbe indicibilmente ridicolo chi, durante un viaggio in Africa, volesse montare un cammello con finanziera e cilindro.  Ma si considera una scelta del tutto naturale vestirsi in stile francese a Zermat o a Wengen, parlare tedesco in città francesi, bere vino del Reno a Goshenen e mangiare a Orvieto lo stesso cibo che si mangia a Lipsia .  Se a questo tipo di viaggiatori chiedete che cosa pensino dell’Oberland bernese, vi parleranno indignati dei prezzi praticati dalla ferrovia dello Jungfrau, e se fate cadere il discorso sulla Sicilia sarete informati che laggiù non esistono camere riscaldate, ma che si può provare un’ottima cucina francese.   Se chiedete del popolo e della vita locale vi racconteranno di gente che indossa abiti assolutamente ridicoli e parla un dialetto del tutto incomprensibile. Ma ora basta così .   Volevo parlare della bellezza del viaggiare, non dell’insipienza della gran parte dei viaggiatori.   La poesia del viaggiare non consiste nel ristoro della monotonia del proprio paese, della fatica del lavoro e dei contrasti, non nella compagnia di altre persone e nella contemplazione di immagini diverse, e nemmeno nel soddisfare una curiosità.   La poesia del viaggiare è nell’esperienza, nell’arricchimento interiore, nell’organica assimilazione delle novità vissute, nell’accrrescimento della nostra capacità di comprendere l’unità nel molteplice, il grande intreccio costituito da terra e umanità, nel ritrovare antiche verità e leggi in situazione del tutto nuove.  A tanto ciò si aggiunge cioò che vorrei chiamare il romanticismo del viaggiare: la varietà delle impressioni, l’attesa, serena e ansiosa, di sorprese, ma sopratutto il prezioso piacere di frequentare persone che ci sono nuove ed estranee.  Lo sguardo scrutatore del portiere o del cameriere è uguale a Berlino come a Palermo, ma quello del pastorello retico, che hai sorpreso su un passo sperduto dei Grigioni non lo puoi dimenticare. E non puoi scordare la famiglia di Pistoia, che una volta ti ha ospitato per due settimane.   Potrai forse dimenticarne i nomi, potrai non ricordare nei minimi dettagli i piccoli destini e le minuscole preoccupazioni di quelle persone, ma non dimenticherai mai come, in un’ora felice, ti sei avvicinato prima ai bambini, poi alla piccola pallida donna, quindi a suo marito e al nonno. Perchè con loro non dovevi parlare di cose risapute, non dovevi allacciarti a una raltà stantia e comune; per quelle persone tu eri nuovo ed estraneo come lo erano loro per te, ed eri costretto a lasciar da parte il convenzionale, a basarti solo su te stesso e risalire alle radici del tuo essere per poter dire loro qualcosa. Forse hai parlato di piccole cose, ma parlavi da uomo a uomo, a tentoni e a furia di chiedere, desiderandio solo di conoscere un pò meglio questi stranieri, di conquistarti un pezzo del loro essere e della loro vita per portarlo via con te.  Chi in regioni e in città straniere non rincorre solo le cose famose e più sorprendenti, ma desidera comprenderne la realtà più vera e profonda per coglierla con amore, noterà come gli incontri casuali e le piccole cose gli appariranno rivestite di un bagliore speciale.  Quando penso a Firenze, la prima immagine che ricordo non è il Duomo o l’antico Palazzo della Signoria, ma il piccolo stagnpo con i pesciolini rossi nel giardino di Boboli.    Là, durante il  io primo pomeriggio fiorentino, mi capitò di parlare con alcune donne e con i loro bambini e ascoltai per la prima volta il dialetto fiorentiuno; e fu la prima voltain cui sentii davvero quella città, che tanti libri mi avevanio reso familiare, come qualcosa di reale e vivo, come una città con cui potevo parlare e che potevo afferrare con le mani. E non per questo mi sono sfuggiti il Duomo, Palazzo Vecchio e tutti i monumenti che hanno reso celebre Firenze.  Penso anzi di averli vissuti e fatti miei in  modo migliore e con più passione di tanti scrupolosi turisti con il loro bravo Baedeker, mi tornano in mente in modo netto, unitario, da piccole esperienze marginali; e se pure ho dimenticato qualche bel quadro degli Uffizi, ricordo le serate trascorse chiaccherando in cucina con la padrona di casa, o le notti passatea parlare con uomini e ragazzi, come il loquace sarto di periferia che sotto casa mi ricuciva i calzoni strappati che avevo indosso e nel mentre mi faceva infuocati discorsi politici e canticchiava melpodie di opere e allegre arie popolari. Queste inezie diventano spesso il fulcro dei più preziosi ricordi.  Ed è indimenticabile la bella cittadina di Zofingen, in cui rimasi solo per una breve visita di un paio d’ore,  e dove feci a pugni con un innamorato della figlia dell’oste. E l’incantevole villaggiodi Hammerstein, a sud di Blauen, nel Baden, non sarebbe così vivodo e bello nella mia memoria, con tutti i suoi tetti e i suoi vicoli, se non l’avessi raggiuntoa tarda notte, inaspettatamente, alla fine di una lunga e penosa perigrinazione nella foresta.  Lo vidi all’improvviso, dopo aver doppiato la sporgenza di un promontorio, distendendosi in profondità, sotto di me, quieto e assonnato, una casa stretta all’altra, mentre la luna stava spuntando sullo sfondo. Se fossi arrivato dalla comoda strda principale e lo avessi attraversato, non saprei nulla di tutto questo.   Vi feci sosta per poco più di un’ora, eppure la ricordo ancora come un’immagine bella e cara, e lo sarà per tutta la vita.   E, unita al ricordodi questo piccolo paesino, la vivida impressione di un paesaggio perfetto, caratteristico.   Chi da giovane ha viaggiato con pocom denaro e senza valigia conosce bene queste emozioni.   Una notte trascorsa in un campo di trifoglio o nel fieno fresco, un pezzo di pane e formaggio elemosinato in una baita sperduta, l’ingresso inaspettato in una locanda durante una festa nuziale in paese, e l’invito a parteciparvi, sono tutti ricordi che restano indelebili nella memroria.   Ma non si deve dimnenticare, al di là del fortuito, l’essenziale, nè al di là del romantico, la poesia.   Lasciarsi trasportarein giro e affidarsi alla buona sorte è certamenteuna buona pratica, ma ogni viaggio, se vogliamo viverlo con soddisfazione e come un’esperienza profonda, deve avere un contenuto e un senso ben precisi.   Passeggiare per noia e ottusa curiosità in paesi la cui intima natrura ci resta estranea e indifferente, è sacrilegio e ridicola.  Come un’amicizia o un amore che si coltiva e per il quale si compioni sacrifici, come un libro che con saggezza si è scelto, comprato e letto, così ogni viaggio di piacere o di studio è un atto d’amore che comporta voglia d’amore e spirito di sacrificio. Il suo scopo è quello di rendere un paese e il suo popolo, una ciottà o una regione, patrimonio spirituale del viaggiatore, che con amore e passsione deve scrutare una realtà a lui estranea e sforzarsi con perseveranza di comprendere il mistero del suo essere.  Il ricco commerciante di salumi, che per pura ostentazionee un malinteso senso della cultura viaggia a Parigi o a Roma, non consente nulla di tutto ciò.  Ma chi nei lunghi e ardenti anni della giovinezza ha coltivato dentro di sè il sogno delle Alpi, del mare e delle antiche città d’Italia, ed è finalmene riuscito a racimolare un pò di tempo e di denaro, si imposserà con passione di ogni pietra miliare, di ogni muro di cinta di un monastero benedettino illuminato dal sole e ricoperto di rose rampicanti, di ogni cima innevata e di ogni tratto di mare, e non si lascerà più sfuggire dal proprio cuore prima di averne compreso il linguaggio, prima che sia divenuto vivo quanto per lui era morto, e dotato di parola ciò che per lui era muro.    Costui , in un solo giorno, arricchirà infinitamente la sua esperienza e proverà molte più cose di quanto non possa un rappresentante di moda in anni di viaggi, e porterà con sè per tutta la vita un tesoro di gioia e comprensioone, un senso di felice appagamento.  Chi non ha bisogno di soldi e tempo e ha voglia di viaggiare, dovrebbe sentire il bisogno di appropriarsi spiritualmente, poco alla volta, dei paesi che affascinano i propri occhi e il cuore, e conquistarsi un pezzo di mondo imparando a conoscerlo e a gustarlo lentamente, mettendo radici in molti paesi e raccogliendo le pietre, da oriente e occidente,per costruire lo splendido edificio di una compresione totale della terra e della sua vita.   Devo riconoscere che la maggior parte dei viaggiatori di oggi è costituita da viaggiatori stanchi, che non desiderano altrose non sentire per qualche tempo la vicinanza ristoratrice e la forza consolatoria della vita naturale.  Parlano volentieri della ” natura  ” e nutrono per essa un amore metà timoroso e metà condiscendente.  M dove la cercano e dove la trovano?  E’ un errore piuttosto diffuso quello di pensare che basta recarsi in un bel luogo per essere vicini alla ” natura ” e gustarne le forze e l’effetto consolatorio.  E’ ovvio che l’abitante della grande città, fuggito dalle sue strade roventi, trova rifugio nella frescura e nella purezza dell’aria marina o soggiornando fra i monti.  E tanto basta .  Si sente leggero, respira profondamente, dorme meglio e torna a casa grato nella convinzione di aver godutoin modo giusto della ” natura ” , di averla assorbita.  Non sa, però,  di aver ricevuto da essa solo gli aspetti più fugaci, insignificanti, e di aver lasciato lungo il cammino, senza scoprirle , le cose migliori.  Egli non sa vedere nè cercare nè viaggiare.   La convinzione che sarebbe molto più semplice e più facile accogliere in se una parte di Svizzera e  di Tirolo o un tratto del mare del Nord o della Foresta Nera, piuttosto che farsi una solida idea di Firenze o di Siena, è del tutto sbagliata.   Per chi di Firenze ricorda solo la torre di Palazzo Vecchio e cappella del Duomo, porterà con se di Schlierse soltanto il contorno del Weldelstein e di Lucerna solo un quadro del Pilatus e l’azzurra foschia del lago; ma dopo poche settimane ritroverà il suo piùgenuino bagaglio spirituale povero come lo era prima del viaggio.   La natura, come l’arte e la cultura, non si getta ai piedi dell’osservatore, e proprio dell’uomo impreparato della città esige una dedizione infinita prima di svelarsi e concedersi.   E’ bello, in treno o in auto, oltrepassare il Gottardo, il Brennero o il Sempione; ed è bello viaggiare da Genova a Livorno lungo la riviera o sul vaporetto da Venezia a Chioggia.  Ma di queste visioni resta raramente un patrimonio duraturo.  Solo a uomini straodinariamente fini e di profonda cultura è concesso di cogliere a colpo d’occhio e conservare in se le caratteristiche di un vasto paesaggio.   Nella maggior parte della gente resta solo un’imnpressione generale di aria marina, di azzurro dell’acqua e di contorni delle rive, e anchen questo si cancella ben presto come il ricordo di una scena teatrale.   Questo è ciò che accade a quasi tutti coloro che partecipano a viaggi di gruppo, oggi tanto amati, nel Mediterraneo. Non si deve voler vedere e conoscere tutto. Chi ha percorso da cima a fondo due montagne e due valli delle Alpi svizzere, conosce la Svizzera meglio di chi, nello stesso tempo, ha visitato l’intero paese con un viaggio organizzato.  Ero stato forse cinque volte a Lucerna e a Vitznau e non avevo ancora afferrato completamente l’intima essenza del lago dei Quattro Cantoni, finchè una volta ci trascorsi sette giorni su una barca a remi, da solo, raggiungendo ogni insenatura e osservandolo da ogni prospettiva.   Da allora il lago mi appartiene; da allora, in qualsiasi momento, posso rievocare precisamente, senza immagini nè cartine, ogni sua parte, anche la più piccola, amandola e gustandola di nuovo: la forma e la vegetazione delle sponde,il profilo e l’altezza dei monti, ogni singolo villaggio con il suo campanile e il punto d’approdo, i colori e i riflessi dell’acqua in ogni ora del giorno. Soltanto sulla base di tale rappresentazionechiara e percebile fui capace di comprendere anche le persone che ci vivono, distinguere e capire atteggiamenti e dialetti dei villaggi costieri, volti e cognomi tipici, carattere e storia delle singole cittadine e dei singoli cantoni.   E la laguna veneziana, nonostante il mio ardente amore per Venezia, sarebbe ancora oggi per me una curiosità straniera, incomprensibile e bizzarra, se una volta, stanco di fissare ottusamente il paesaggio, non avessi condiviso per otto giorni e otto notti barca, pane e letto con un pescatore di Trocello.  Remavo lungo le isole, attraversavo a guado con la rete a mano le torbide barre di foce, imparavo a conoscere acqua, flora e fauna della laguna, respiravo e osservavo la sua atmosfera peculiare, e da allora la laguna mi è familiare e amica.    Quegli otto giorni li avrei potuto spendere per Tiziano e Veronese, ma nella barca di un pescatore con la vela triangolare color bruno dorato ho imparato a capire Tiziano e Veronese meglio che all’Accademmia e nel palazzo dei Dogi.   E non solo qualche quadro, ma l’intera Venezia non rappresenta più per me un inquietante enigma, ma una realtà molto più bella che mi appartiene er sulla quale posso esercitare il dirito della comprensione.   Dalla pigra contemplazione di una dorata sera d’estate e dal confortante contatto con l’aria pura e leggera della montagna fino all’intima comprensione della natura e del paesaggio, c’è ancora una strada molto lunga.   E’ meraviglioso starsene sdraiati a oziare per ore su un prato riscaldato dal sole . Ma il pieno godimento, cento volte più profondo e nobile, è concesso solo a colui il quale ha perfetta familiarità con questo panorama, con questo prato, con la sua terra e i suoi monti, i ruscelli, la macchia di ontani e la catena di cime che si slanciano all’orizzonte verso il cielo.    Leggere in questo pezzo di terrale sue leggi, scorgere la necessità della sua conformazione e della sua vegetazione, cogliere il legame che l’unisce alla storia, all’indole, all’architettura, alla lingua e ai costumi degli abitanti: tutto ciò esige amore, dedizione, esercizio.    Ma ne vale la pena.   In un paese che con zelo e amore ti sei reso familiare e si è fatto tuo,  ogni prato, ogni roccia sulla quale hai sostato ti rivela tutti i loro segreti e ti infonde l’energia che ad altri nonè concessa.   Voi dite che non tutti possono studiare come geologi, storici, dialettologi, botanici ed economisti il pezzo di terrasu cui si è scelto di ttrascorrere una settimana.   Naturalmente no.   Si tratta di sentire, non di conoscere dei nomi.   La scienza non ha anncora reso beato nessuno.  Ma chi sente la necessità di non camminare a vuoto, di sentirsi vivere costantemente nel tutto ed essere parte integrante del tessuto del mondo, apre ovunque spontanamente gli occhi su ciò che è peculiare, autentico, legato alla terra.    Ovunque nel suolo, negli alberi, nei profili montuosi, negli animali e negli uominidi una terra egli riuscirà a percepire un elemento comune, un punto fermo su cui concentrare tutta la sua attenzione, invece di rincorrere il caso.   E scoprirà che questo elemento comune, tipico, si manifesta anche nei più piccoli fiori, nelle più delicate colorazioni dell’aria, nelle più lievi sfumature del dialetto, delle forme architettoniche, dei balli e canti popolari, e a seconda della sua disposizione un detto  popolare o un profumo di foglie o un campanile o un piccolo fiore non diventeranno la formula che racchiude in modo sicuro e coinciso tutta l’essenza del paesaggio.   Ed è una formula che non si dimentica.   Ma ora basta.   Solo una cosa vorrei aggiungere ancora : io non credo a un particolare ” talento per il viaggio” , di cui spesso si parla. Coloro che viaggiano e sono ben presto capaci di rendersi familiare un paese straniero, che sono capaci di cogliere ciò che è autentico e prezioso, sono le stesse personeche hanno saputo riconoscere un senso alla vita in sè, e che sanno seguire la propria stella.   La forte nostalgia per le fonti della vita, il desiderio di familiarizzare con tutto ciò che esiste, opera, cresce, è la loro chiave per i misteri del mondo, che essi inseguono entusuiasti e felici non soltanto durante i loro viaggi in terre lontane, ma anche nel ritmo della vita e dell’esperienza di ogni giorno .

 

passeggiata sul lago di como

Il pomeriggio inoltrato oscillava esitante tra un sereno ventoso e una timida pioggia. Faceva freddo e dai monti occhieggiava il pallore della neve fresca. Ero sceso a Como perchè, giungendo dal Gottardo, mi pareva il modo più bello per entrare sul suolo italiano. Si è ancora vicini ai monti ma già si percepisce la pianura, la vasta e silenziosa fertilità. La cittadina di Como ha una buona impronta di Italia settentrionale;  è pulita, agiata, cordiale e ospitale.   Diversamente da Lugano e da tutte le celebri cittadine lacustri, Como volge le spalle al lago, e anche nel grazioso piazzale del porto non si trova la tediosa e inquietante sensazione di sedere in prima fila davanti ad un paesaggio creato ad arte, con il biglietto in tasca e l’obbligo di godere del bello spettacolo. L’unica cosa fuori luogo, a Como, è lo scosceso pendio sulla cui sommità si trova Brunate, con squallidi edifici pretenziosi ed enormi cartelli con su scritto Porta o Fernet Branca a caratteri cubitali. Ma se si volge le spalle a questi e al lago, ci si scopre in una città piacevole e vivace, ricca di antiche bellezze e che non evoca mai la sensazione di trovarsi in un museo. Lo straniero è tollerato con gentilezza, non viene visto come una bestia rara nè sfruttato come un oggetto. La vita dei vicoli ha tutto il fascino italiano: gli artigiani lavorano canticchiando fuori dalle botteghe, le belle ragazze e le donne hanno le agili movenze di uccelli aggraziati, senza gravità nè civetteria, se non quelle consone all’uccello e alla farfalla.   Quando dopo una tranquilla passeggiata nei vicoli arrivai sul piazzale del porto, il tempo sembrava promettere al meglio, e poichè proprio in quel momento un vaporetto fischiava la partenza, mi affrettai sul pontile e partii senza sapere dove andavo.   Usciti dal modesto bacino di Como, che non ospita altro che il grande porto, e costeggiando ville e giardini, penetrammo nel ramo maggiore del lago.   Il vento freddo spazzava la piccola tolda e i pochi passeggeri si accalcavano vicino alle macchine.   Non sono mai riuscito ad amare davvero questo lago.  E’ troppo bello e radioso e pare ostentarela sua ricchezza; ma gli manca la cosa più bella che un lago possa avere: una riva calma e ampia.   I monti sono di un’altezza opprimente e sembrano precipitare implacabilmente scoscesi: spogli e selvaggi in alto, sovraccarichi di paesini, giardini, case estive e locande di lusso in basso.  Tutto è splendida realtà, vicina, ostentata, tutto brilla e risplende come in un magnifico spettacolo.   Non vi è un solo luogo rimasto libero per il sognoe il presentimento; non un canneto paludoso, non un’umida riva erbosa o un’ammaliante macchia di arbusti.   Eppure, ancora una volta, questa bellezza mi sedusse e mi incantò: il romanticismo rupestre dei villaggi scoscesi, la severità consapevole delle ville aristrocratiche con giardino, parco e darsena, la socievole vicinanza di campi e fabbricati.   Uno di questi paesini, si chiama Torno, si allungava sulla sua vezzosa lingua di terracon una tale eleganza che fui tentato di scendere a terra.  Il battello, costeggiando la sponda, rincorse una gioviale insenatura; lì, dietro il verde di giovani faggi scendeva una lunga e silenziosa cascata, magicamente bianca e velata, così nascosta e silenziosa che mai ne avrei sospettata l’esistenza in quel luogo.  Il villaggio era piccolo, leggermente in salita lungo il monte e offriva dal lago un’incantevole scenografia, esibita in un perfetto lindore: un’ampia gradinata di pietra che fungeva da attracco e lavatoiio, ai suoi piedi alcune barche ormeggiate, una casa ricoperta di vegetazione col portone ad arco e piccoli balconi, una tranquilla piazza in chiara pietra, e dietro la facciata e il campanile di una bella chiesa, un delicato muro a semicerchio sovrastato da giovani alberi.   Era un quadro perfetto, così incantevole che non volli rischiare di spezzarne l’armonia: restai fermo al mio posto e lasciai che quel piccolo gioiello mi sfilasse davanti, e si allontanasse, e rimpicciolisse, lo ringrazia con un cenno del capo e glim dissi addio.   Dell’amore a prima vista ho trovato più spesso conferma davanti a dipinti o architetture, che non a dei paesaggi.    A Moltrasio, dall’altra parte di quel ramo del lago, il battello fece sosta e venni a sapere che si sarebbe fermato per un’ora per poi fare ritorno a Como. Così scesi e cominciai a gironzolare per il paese con un piacevole senso di estraneità.  A parte una silenziosa e imponente villa, con le imposte chiuse sulla sua facciata liscia e composta, non c’era nulla di particolare da vedere.  Mi fermai di fronte all’alto cancello in ferro e sbirciai dentro il giardino, che saliva in un placido declivio ed era disposto secondo una rigorosa simmetria; sopra a un piccolo lago ovale erano in fioritura le camelie, e nel pratogli astri, dove un largo viale principesco conduceva fino alla casa.   Proseguii e presi il primo viottolo che saliva verso il monte, costeggiai innumerevoli gradini e arrivai a un alto muro senza fine; al di sopra di questo, in piccole terrazze, gli alti cipressi piantati in modo regolare accompagnavano il declivio severi e regolari.  Spuntavano delle case, sentii l’acqua di una cascata insieme ad alcuni suoni umani provenienti dai vicoli vicini.  Stretto ed oscurato dai tetti, il viottolo conduceva al piccolo piazzale di una chiesa.    Entrai e la trovai vuota.  Mi fermai per alcuni istanti davanti al coro e ai suoi graziosi affreschi di bei colori, poi tornai indietro e proseguendo sotto un portico mi trovai a unn tratto su un ponticello dall’arcata modesta.   Sopra di me scendeva ripido e spumeggiante un impetuoso torrente che più in basso, dopo tre o quattro ardite cascate, raggiungeva la valle sotto alti ponti aerei, tra mura coperte di muschio e verdi siepi.   Passarono ragazze graziose che portavano acqua in recipienti di rame che reggevano sul capo, ondeggiando attraversarono uno dei ponti e sparirono nell’umida penonbra dim quei vicoli angusti.  Avanzai ancora verso la cima del monte, costeggiando orti seminati da poco; di tanto in tanto il mio sguardo andava verso il fondo della valle e la distesa del lago.  Era ormai trascorsa l’ora e cominciai a guardarmi intorno cercando la via che mi riportasse all’approdo.   A un tratto capitai su un sentieron erboso fra due ali di alti cipressi; in alto e in basso muri di confine dei grandi giardini ricoperti di verde; più vicino, grigio e corroso dal tempo, un campanile cadente: un paesaggio freddo e taciturno, immerso in un torpore incantato.   Cercando la strada il mio sguardo percorse, sulla sinistra, il lungo muro di cinta iun giardino.  Lo trovai interrotto da un buco fosco e nero delle dimensiuoni di una finestra, che mi incuriosì.  Mi avvicinai.  Nell’antica muratura si apriva una profonda nicchia buia e chiusa da una grata di ferro, e dietro alla grata brillava sinistro uno strano chiarore. Mi avvicinai e vidi che si trattava di una grande piramide di teschi umani, che accatasti a ricordo dei morti e monito peri vivi, erano resistiti nell’oscurità del tempo.  La loro vista non era nuova: anche in Austria e in Alsazia avevo visto simili piramidi di teschi e non l’ho mai appezzati particolarmente.  Questa che vedevo, invece, mi affascinò, e ancora oggi è per me indimenticabile. Lo è perchè quella cupa inferriat nera, dietro la quale sghignazzavano nel loro rigido schieramento i segni della caducità umana, era stata adornata da mani infantili di freschi boccioli di camelia di un rosa pallido.   E nella mia memoria, più ancora della gita in battello sul lago e dello splendore delle sue sponde, più intenso della cascata e del coro affrescato, è rimasto scolpito questo puro e infantile gioco di fiori sulla grata dei teschi.

altre letture

vagabondaggio ………………………..1920

il piacere della natura……………….1908

sul gottardo………………………………1905

azzurra lontananza…………………..1904

fulgore invernale………………………1905

giornate d’inverno nei grigioni…1905

voglia di viaggiare…………………….1913

giardino di boboli……………………..1901

camminare in primavera…………..1920