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da terre incognite

ETIOPIA

Dancalia, inferno geologico tra sale e vulcani.

Esistono ancora sulla terra regioni sconosciute, o quantomeno meno sconosciute fino a ieri e comunque ancora poco note, dove il turista intrapendente possa sentirsi un esploratore, o almeno un pioniere ? In Dancalia tutto questo può avvenire. Sul lato orientale del grande acrocoro dell’Etiopia, costituito da enorme montagne basaltiche alte fino a 4000 m a formare la maggior massa di rocce vulcaniche ed i più estesi altopiani del continente africano, si sviluppa la vasta depressione della Dancalia (grande  quasi un terzo dell’Italia), un deserto atipico formato da sabbie, colorate di lava, vulcani attivi e spenti, manifestazione vulcaniche secondarie, laghi salati ed enormi distese di sale che cosatituisce uno dei lughi più caldi e inospitali della terra, oltre ad uno dei punti più bassi sotto il livello del mare, dove si ha la sensazione di trovarsi in un altro pianeta e non nel cuore dell’Africa orientale, a non eccessiva distanza dalle acque del Mar Rosso.     Ma anche un luogo estremamente affascinante e reale per gli amanti dell’avventura, dell’esplorazione geografica e dell’ignoto, del tutto sconosciuto dalle carte geografiche fino a 80 anni fa e dove ancora oggi non risulta facile avventurarsi e neppure scevro di pericoli (tanto che occorre andare con agenzie specializzate, in convoglio e con permessi, accompagnati da guide locali e scorta armata e ci si può accampare soltanto presso i posti di polizia), dove si può riscontrare meglio di qualsiasi altro posto i risultati di sconvolgenti avvenimenti geologici del passato e quelli in preparazione per il futuro.   In questo deserto di lava e sale non piove praticamente mai, da sempre, la temperatura in estate arriva ai limiti della sopportazione umana (50′ C,  ma con punte record fino a 81), l’unica acqua potabile proviene da profondi pozzi in quanto i laghi sono tutti salati o salmastri e l’unico fiume si perde evaporando nelle sabbie.   Viene da chiedersi come in presenza di simili condizioni ambientali estreme possano sopravvivere una stentata vegetazione con alberi di acacia, euforbia e dracene, una fauna peculiare con asini selvatici, zebre di Gravy, gazzelle, orici, struzzi e otarde e, soprattutto, come possano viverci gli Afar, una scorbutica popolazione di pastori nomadi che rimediano il pasto allevando capre e cammelli e estraendo e trasportandolo sull’altopiano lastre di sale.   La Dancalia, che costituisce il tratto sommitale africano della grande spaccatura teutonica della Rift Valley, fino al 1928 risultava inesplorata: venne attraversata per la prima volta da una spedizione italiana che impiegò 4 mesi e un sacrificio di 5 vittime; tutti i numerosi tentativi precedenti erano finiti miseramente per le condizioni climatiche e la feroce ostilità degli Afar.     Sicuramente in un lontano passato le condizioni non dovevano essere così proibitive, se hanno permesso la vita a Lucy, l’austrolopiteco fossile considerato il più antico antenato umano vecchio di 3,5 milioni di anni, scoperto presso Harar assieme ai resti di scimmie antropomorfe risalenti a 10 milioni di anni fa e a quelli di elefanti, coccodrilli e ippopotami fossili.   La depressione dancala, lunga 500 km e larga 150, costituisce la parte settentrionale africana della Rift Valley. Quaranta milioni di anni or sono Africa e penisola arabica erano unite in un unico continente. Poi un’enorme faglia, prodotta dalla deriva delle zone continentali che in questo punto tendono ad allontanarsi, provocò il distacco attraverso una fossa che fu subito invasa dalle acque dell’oceano Indiano a formare il Mar Rosso. Attrraverso il golfo di Zula, poco a sud della città eriotrea di Massawa, le acque penetrarono anche nella depressione dancala formando un vasto golfo interno.    Sette milioni di anni fa una nuova faglia diede il via alla Great Rift Valley, una fossa tettonica nella superfice terrestre lunga oltre 5000 km e larga in media 100, che dalla Siria entra nel Mar Morto e nel golfo di Aqaba, scende lungo il Mar Rosso fino a Massawa dove entra in Africa attraverso la Dancalia, scende lungo la depressione dei grandi laghi etiopici fino al lago Turkana, poi attraversa Kenya e Tanzania per concludersi in Mozambico.    Non è un caso che questa frattura superficiale nella crosta terrestre abbia restituito i più abbondanti resti fossili di ominidi e antenati umani.    Sul fondo della Rift, disseminato di manifestazioni vulcaniche attive o passate, la crosta terrestre ha uno spessore non superiore ai 20 km, contro una media altrove di 100, ed i bordi tendono ad allontanarsi di qualche millimetro all’anno.     Tra qualche milioni di anni il Rift determinerà immancabilmente la formazione di una nuova isola continente, staccando il Corno d’Africa dal Continente ner, che galleggerà nell’oceano Indiano verso est come il Mdagascar, ma più a nord.    L’esplorazione della Dancalia è stata ritardata rispetto ad altre regioni africane dalla presenza degli Afar, una popolazione poverissima, ma fiera e indipendente, feroce e restia a qualsiasi tipo di contatto esterno, dove il maggior vanto sociale per gli uomini risiede nel numero dei nemici uccisi o evirati, intentendo per nemici chiunquenon appartenga al loro ristretto clan familiare.   Numerose spedizioni nel 1800 e all’inizio del 1900 finirono tragicamente nel sangue, ed ancora oggi i turisti che osano avventurarsi debbono essere scortate da guide locali e guardie armate.    Di pelle scura e rossastra, i capelli lanosi ricci e ondulati, di elevata statura e naso stretto, le donne afar sono molto belle nei loro ampi drappi colorati di cotone che mettono in risalto i corpi statuari ambrati e la luce dei volti, le adolescenti con treccine e a petto nudo, tutte ricoperte di bracciali, collane, orecchini e amuleti.   Molte presentano tatuaggi e scarificazioni tribali.    Gli uomini, assai vanitosi, portano un inseparabile coltello ricurvo in un fodero al fianco e viaggiano sempre armati di bastone e fucile.    Donne e bambini abitano entro capanne semisferiche ricoperte di stuoie vegetali, facilmente trasportabili, mentre gli uomini dormono sorvegliando le mandrie, loro unico patrimonio.    Sono blandi musulmani e animisti al tempo stesso, poligami, si sposano spesso tra cugini e per prestigio sociale uomini e donne debbono avere più amanti.

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NEPAL

Mustang , regno proibito e ultimo Tibet

Una strada sterrata di appena 85 km, un continuo saliscendi a 3-4000 m di quota accessibile per ora soltanto in fuoristrada, camion e trattori, sembra destinata a cambiare -nel bene e nel male- la sorte e la vita in uno degli angoli più reconditi e sconosciuti dell’universo Himalayano. Stiamo parlando della strada inaugurata nel 2013 che percorre il fondovalle del Mustang da Jomsom fino a Lo Manthang.  Il Mustang costituisce un’appendice nel centro nord del Nepal, al di sopra della catena himalayana, che si insinua in profondità nell’altopiano tibetano e chiusa a sud dai massicci dell’Annapurna e dal Dhalaugiri. In pratica una vallata grande un terzo della Val d’Aosta, da sempre accessibile solo a piedi con lunghi e faticosi percorsi di almeno 5-7 giorni (solo andata) e passi innevati a 5000 m, tagliata longitudinalmente in due dal fiume Kali Gandaki, affluente del Gange, e circondata da vette mozzafiato alte 7000-8000 m. Prima della strada, i trekker potevano accedervi a piedi o a cavallo con guida locale in completa autonomia per mangiare, dormire e trasporto bagagli, pagando una salata tassa giornaliera per un massimo di tremila permessi all’anno.  Un deserto roccioso d’alta quota, brullo e assolato, ad un’altezza media di 3600 m, dove acqua e vento hanno scavato gole profondissime e spettacolari erosioni differenziate nelle rocce, con le ossidazioni dei minerali che creano colori psichedelici a tinte calde in contrasto con il verde dei campi e pascoli, abitato da un totale di 6000 persone di lingua, cultura e religione buddista tibetana, privo di elettricità e telefono. Ma anche uno stupendo e incontaminato libro di geologia a cielo aperto con incredibili erosioni, canyon, gole e grotte, dominato da una luce penetrante e dai colori delle rocce e dalle rare costruzioni, mentre in cielo volteggiano aquile e avvoltoi. Nel suo tratto inferiore presso Kagbeni, il Kali Gandaki origina le gole più profonde della terra. Le uniche macchie di verde sono costituite da qualche albero e piccoli campi d’orzo su terreni terrazzati attorno ai minuscoli villaggi, costruiti con mattoni di fango ma tinteggiati con colori vivaci, dove si vive miseramente allevando yak, cavalli, pecore e capre e usando il letame come conbustibile. La scarsità femminile viene compensata alla ricorrendo alla poliandria, dove una donna sposa contemporaneamente più fratelli.   L’economia si basa su allevamento, un pò di agricotura, e la produzione di bei maglioni di lana che verranno poi venduti a Katmandù. Non raggiungibile neppure dal monsone, piove poco e nevica relativamente meno; in estate le giornate sono temperate, vento a parte, ma di notte si sfiora lo zero. Fin dal 1830 ha rappresentato uno dei tanti principati feudali tibetani con il nome di Regno di Lo, chiuso in sè stesso e quasi inaccessibile, anche se nel suo territorio passava una non certa via commercialedi scambio di sale, lana, cereali e spezie tra Tibet e Nepal, tra Cina e India, sulla quale hanno transitato per millenni anche monaci e pellegrini per portare la parola del Buddha. Nel 1951 è stato inglobato nel regno nepalese (repubblica dal 2008, dopo la rivolta maoista), ma con ampia autonomia, tanto che l’attuale re Raja -grande allevatore di cavalli e mastini tibetani- gode ancora di ampia considerazione.  Negli anni 1960-70 la regione era inaccessibile in quanto principale base logistica dei guerriglieri tibetani khampa che si opponevano con le armi all’occupazione cinese della loro nazione, mentre fino a 1992 era inaccesibile agli stranieri; il primo occidentale a penetrarvi è stato un funzionario dell’ONU nel 1950. Questo isolamento ha consentito di conservare intatta la cultura tradizionale tibetana, della quale rappresenta l’ultimo baluardo, molto meglio di quanto non si possa riscontrare nel Tibet attuale, distrutto e snaturato dall’invasione cinese. Sparsi un pò ovunque si incontrano dzong (antiche fortezze), chorten (tombe di lama) e stupa (treliquari buddisti), muri mani (muretti votivi con preghiere incise) e gompa, monasteri buddisti e templi a partire dall’VIII secolo, quindi tra i più antichi in assoluto, decotrati con preziosi affreschi considerati tra i più elevati capolavori dell’arte tibetana, thangka (pitture religiose su tela), ruote di preghiera, statue di metallo. La religione prevalente è il buddismo lamaista tibetano di scuola Sakya, introdotto nel 1400, più socievole e aperto e meno metafisico. Il capoluogo, e antica capitale reale, porta il nome di Lo Manthang, un minuscolo paesino medievale di mille anime a 3780 m racchiuso entro possenti mura con 14 torri e una sola porta (unico esempio di città murata tibretana rimasta intatta in assoluto); all’interno da visitare il palazzo reale, che custodisce antichi oggetti sacri di inestimabile valore, alcuni gompa, la scuola di medicina tibetana, negozi e mercati. In città soltanto il Raja può entrare a cavallo. In maggio-giugno vi si svolge un importante festival religioso, il Tiji, immutato da secoli e che richiama fedeli da ogni parte, con suoni, danze, costumi e maschere per ricordarel’eterna lotta tra bene e male. Una curiosità: i Loba, gli abitanti della regione abituati da sempre in una realtà fuori dal tempo, hanno due nomi, uno tibetano e l’altro nepalese.

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Ciad

Sahara sconosciuto

Situato al  centro dell’Africa settentrionale il Ciad, grande oltre quattro volte l’Italia e quarta nazione per estensione del continente, per ambiente, clima e popolazione si presenta come un paese estremamente composito, cerniera e punto di transizione tra il Sahara, il Sahel e l’Africa equatoriale, tra l’Africa bianca e quella nera.      Infatti se il sud, ricco di pioggie e di acuqe, offre un clima semitropicale con foreste e savane alberate abitate da una tipica fauna africana, man mano che si sale di latitudine le savane diventano sempre più rade e aride, per trasformarsi al nord in enormi pianure sabbiose e ciottolose, con imponenti erg di dune racchiuse a nord e a est da due massicci rilievi montuosi, il Tibesti e l’Ennedi.     Per le caratteristiche geografiche e l’assoluta mancanza di strade, la regione settentrionale rappresenta il tratto di Sahara meno conosciuto e frequentato, ma estremamente ricco di peculiarità.   Anche la popolazione diverge notevolmente: al sud, dove su un quarto del territorio si concentra oltre la metà della popolazione, abitano africani neri sedentari, cattolici o animisti, che parlano francese (oltre ai dialetti locali di 200m diverse etnie) al nord prevalgono invece pastori nomadi bianchi berberi, di religione islamica e lingua araba.      Difficile convivere pacificamente con tante diversiytà, e infattinon a caso dopo l’indipendenza dal colonialismo francese il paese ha attraversato mezzo secolo di instabilità politica, caratterizzata da colpi di stato, guerriglia intestina e conflitti con i vicini, aggravata dal fatto di essere anche una delle nazioni più povere in assoluto, perchè solo il 3 % del suolo risulta fertile.   Il nome le deriva dal lago Ciad, maggiore eminenza geografica, ubicato non lontano dalla capitale N’Djamena e condiviso con i confinanti Niger, Nigeria e Camerun.  Curiosa, ed eloquente, la storia di questo corpo idrico, residuo di uno dei grandi sistemi idrografici africani, che occupa una vasta depressione tettonica.      Nel Cretaceo superiore, 70 milioni di anni fa, era un enorme mare interno che collegava l’Atlantico alla Rift Valley, poi pian piano cominciò a restringersi, tanto che nel Pleistocene (due milioni di anni or sono) misurava 350 mila km2, vale a dire mille volte il nostro lago di Garda, era fondo 160 m e rimaneva comunque il maggior lago del continente.      Da allora la consistenza è precipitata, restringendo le dimensioni attuali a 10-20 mila km2 (a seconda delle stagioni) e solo nell’ultimo mezzo secolo si è ridotta del 90% riducendolo a poco più di un ampio stagno paludoso.   Un disastro ecologico, ma anche un’immane catastrofe economica ed umanitaria, perchè la sua pescosità sfama oltre 20 milioni di popolazioni rivierasche.   Altre rilevanti eminenze geografiche sono costituite dai massicci del Tibesti e dell’Ennedi.     Il primo è un imponente rilievo vulcanico, il maggiore del Sahara (grande un terzo dell’Italia) e con cime oltre i 3000m m, che segna il confine a nord con la Libia. L’Ennedi, nel nord est al confine con il Sudan, si presenta invece come un tipica formazione tassilliana, un altopiano di arenaria grande quanto la Svizzera e alto poco oltre i 1000 m, frantumato dall’erosione in una miriade di guglie, pinnacoli, castelli di roccia, archi e canyon, solcato da oued verdeggianti con acacie secolari e lambito da imponenti erg di dune.   Viene definito il ” GIARDINO DEL SAHARA” per la relativa piovosità regalata dai monsoni e la presenza di sorgenti sotterranee, capaci di regalare una incredibile vegetazione tropicale per quelle latitrudini, dove propspera una fauna variegata formate da gazzelle, babbuini, scimmie rosse, mufloni, sciacalli, lepri e procavie, un’inattesa oasi biologica e un’incredibile arca di Noè. Per finire con pesci e anfibi endemici nelle guelte delle suggestive Gole di Archei, un enorme canyon alto 200 m, dove trova rifugio l’ultima colonia relitto di coccodrilli del Nilo, veri fossili viventi sahariani.

l’itinerario

Un itinerario nel deserto del Ciad regala consistenti emozioni, ma richiede tempo e lunghi percorsi su pista e fuoripista, in quanto le strade non esistono proprio.   Si parte per ragioni logistiche dalla capitale N’Djamena puntando verso nord attraverso un’arida savana saheliana punteggiata da miseri villaggi, accampamenti di pastori nomadi e pozzi dove si abbeverano le mandrie, con scene davvero bibliche. Le arenarie color ocra dell’Ennedi invitano ad inoltrarsi nel dedalo di fantasmagoriche erosioni fino alle mitiche Gole di Archei, dove i nomadi dissetano i loro dromedari sotto gli occhi vigili dei minuiscoli e inoffensivi coccodrilli, oppure a scoprire le innumerevoli cavità decorate con scene di vita pasatorale lasciate dai predecessori preistorici, quando ancora il Sahara era verde, che non si discostano però di molto da quelle attuali.   Ancora più a nord occorre attraversare una serie di imponenti erg dunari e alcune oasi per raggiungere una delle meraviglie scenografiche del Ciad, i laghi di Ounianga, una serie di specchi d’acqua dolci e salati alimentati da falde sotterranee, entrati nel 2012 a far parte del patrimonio dell’umanità dell’Unesco, che dispensano i loro cromatismi tra cinture di palmeti, falesie di arenarie, dune policrome e accampamenti di nomadi intenti ad estrarre un sale rosso cristallino.      In queste regione non vivono i famosi tuareg, ma i meno noti tebu, popolazione isolata di ceppo etiope, scorbutici e solitari ma dalla forte coesione etnica, dotati di straordinaria resistenza alla fame, alla sete, che la leggenda dice capaci di vivere tre giorni con un solo dattero (il primo succhiando la pelle, il secondo gustando la polpa e il terzo per scioglier il nocciolo). Già nel 500 a.C. questo popolo manteneva rapporti commerciali con Cartagine.    Le imponenti cattedrali di roccia di Bishagara e le dune dell’erg di Djourab (dove di recente assieme a fossili di fauna sono stati trovati i resti di un ominide vecchio di 6-7 milioni di anni, il primo rinvenuto in Africa centrale) accomiatano dal Sahara ciadiano.

 

ciad – ennedi ……….28.11

Si ritorna a Milano nel primo pomeriggio, riportando tanti bellissimi ricordi di questo viaggio indimenticabile. L’Ennedi è una fortezza di arenaria, nel cuore del Sahara, conquistato un pò alla volta, cavalcando cordoni di dune, addentrandosi nei suoi canyon invasi dalle sabbie, fino a scoprirne i gioielli più preziosi. Presente e passato convivono nella guelta di Archei: carovane di dromedari si abbeverano dove gli ultimi coccodrilli sahariani testimoni viventi di quel mondo perpetuo che traspare da magnifiche pitture e incisioni rupestri. Dopo le falesie dell’Eannedi, ecco i laghi di Ounianga apparire tra dune e palmeti.

CHE VIAGGIO DA SOGNO !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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ciad -ennedi …………….27.11

Ancora circa 300 km da percorrere prima di arrivare a N’Diamena, lungo la pista, caratteristici i piccoli villaggi a capanne di legno coperti con foglie di palma, chiuse da recinzioni con legni di acacie intersecanti fra loro. Pausa caffè in una radura dove incontriamo per la prima volta diversi grandi e meravigliosi alberi di baobab,

finora visti solo in fotografia, veramente maestosi. Alcune acacie sembrano essere in fiore, in realtà sono delle larve di cavallette pronte a prendere il volo.

Si passa dal grosso villaggio di Moussoro, una breve fermata per gli ultimi acquisti per il prossimo pranzo, acquistate alcune bibite fresche attorniati da una moltitudine di bimbi, ognuno con una catino in mano per poter avere qualcosa da parte di noi turisti, subito però allontanati da qualche adulto del posto, ma ritornando subito alla carica. In questa area desertica a nord del lago Ciad sono stati trovati i resti del primo ominide preistorico,  si pensa che abbia oltre otto milioni di anni , chiamato TOUMAJ. Inizia ora la strada asfaltata, si fa per dire, con nuovi posti militari di controllo, a lato di uno di loro, appena fuori il villaggio, sono stati fermati alcuni grossi autocarri carichi al massimo e ora sottoposti a controlli, forse dovranno scaricare l’intero carico alla ricerca di armi, droga o migranti. Passa un autocarro carico di pelli di dromedario, diretto in Libia ad una conceriamborroni_ciad-1879. A Massaguet riprendiamo la strada fatta all’inizio del viaggio, fermandoci per il pranzo nella stessa area dell’andata,

prima di ripartire per l’albergo della capitale dove arriviamo nel tardo pomeriggio. Giusto il tempo per una doccia, cambiarsi, sistemare i borsoni prima della cena in in ristorante tipico.