Dopo molti anni sono tornato a dormire in tenda, questa volta nel deserto: alle prime luci dell’alba, alle cinque, dopo la sveglia ognuno smonta la propria tenda, viene riacceso il fuoco per scaldare l’acqua per il tè e per il caffè, per la pausa di metà mattina, si fa colazione. Scambio di impressioni sulla notte appena trascorsa, tutti contenti e positivi. Una breve passeggiata su una lunga spianata di sabbia con pochi alberi e cespugli, per raggiungere i fuoristrada. Alle nove si riprende la strada, solita gimkana per evitare le buche, per questa lunga giornata di trasferimento verso l’Ennedi, immersi in una dimensione di verace e autentica Africa saheliana in cui si susseguono senza soluzione di continuità villaggi e mercati. Rallentiamo e ci fermiamo ad osservare un gruppo di pastori nomadi con la loro carovana di dromedari, attraversano la strada, diretti a sud, in cerca di nuovi pascoli, sul dorso di alcuni di essi sono stati messi piccole strutture per alleviare e far riposare donne e i bimbi durante la transumanza
. Ancora posti di blocco dei militari armati per il controllo dei documenti, ogni volta Piero deve esibire e spiegare loro con l’aiuto del suo autista di etnia tubu, credo che non tutti questi militari riescano a capirli e leggerli , da come leggono e guardano i fogli . Ci si ferma al villlaggio di Ab Touyour, primo incontro e impatto nella realtà del paese, fermandosi dopo circa due ore al villaggio di Mongo per il rifornimento di acqua prelevata al pozzo, sollevata a mezzo di una pompa a motore così da riempire tutti i nostri bidoni, mentre altri persone del villaggio fanno le loro scorte con bidoni caricati sui carretti.
Sotto un albero, alcune donne sedute per terra, fanno un piccolo mercato ponendo davanti a loro dei catini per la vendita dei loro prodotti e di quel poco che hanno: frutti di mango , cavallette fritte insaporite con limoni, delle patate da sabucciare e altro, Paola ne prende un cartoccio che ne offre un assaggio a tutti noi , che non ci trova per niente entusiasti del loro sapore.
Dall’alto, seduti a bordo strada, un gruppo di ragazzini osserva intensamente noi turisti , quali saranno i loro commenti? Dopo il rifornimento di carburante ad una stazione di servizio, e scorta d’acqua in bottigliette al negozio retrostante, si riparte per Abeche. In macchina, su un lato della strada, vediamo camminare a piedi piccoli gruppi, o di solo uomini o di sole donne, in fila indiana, vestiti come fosse un giorno di festa, forse arrivano anche da molto lontano, così mi spiega Vittorio, del loro uso e costume di recarsi a fare le condoglianze a casa di una persona morta, forse importante da vivo. Lungo la strada sono stati piantati molti alberi di acacie, protetti al piede grossi contenitori circolari di mattoni di terra per evitare di essere mangiate dalle capre o altri ruminanti.
Vittorio mi spiega del B R I C S , sigla di un’associazione di alcuni di stati del mondo, dalle loro iniziali, Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, riuniti per aiutare economicamente, anche per i loro interessi, alcuni paesi sottosvilpuppati del mondo. Un argomento che a casa andrò ad approfondire. Ancora si incontrano molte carovane di dromedari, mandrie di vacche e greggi di capre, nomadi e pastori seguono i loro animali in queste distese infinite del sahel alla ricerca dei pozzi, poca la vegetazione, solo alcune acacie dal tronco rosso, da cui dovrebbero ricavare della gomma arabica, si vede qualche raro campo coltivato a sorgo, poco a granoturco. Un carro armato, residuato bellico, fa parte ora del paesaggio, li rimasto da quando il Sudan invase il Ciad. Pausa pranzo sotto una pianta di fichi, non buoni, mentre altre carovane di dromedari passano vicino a noi, in cielo corvi neri o avvoltoi in cerca di carcasse di animali morti. Si attraversa il fiume Batha, in secca, con un forte vento caldo di scirocco che solleva un gran polverone di sabbia, per riprendere la strada principale per Abeche, sempre direzione est, ne mancano ancora oltre 150 km, una breve fermata per la preghiera islamica del pomeriggio dei nostri autisti sunniti, alla nostra destra un nuovo villaggio con un grande esteso mercato, in lontananza grandi e alti silos cilindrici, forse granai, per la raccolta dei cereali .Attraversiamo la splendida regione del Guerà, all’orizzonte appaiano davanti a noi grandi montagne dalle forme più strane, ci si ferma ai piedi di una di esse per montare il nuovo campo, siamo alla roccia delle iene a circa 40 km da Abeche . Dopo la cena tutti ad osservare la luna piena che sorgerà fra due alti picchi rocciosi. Vedere sorgere la luna dalle cime sopra di noi che illuminana a giorno il nostro campo è stupendo, con molti alberi e cespugli alle nosgtre spalle nessun problema per i servizi, per evitare di inquinare bisogna bruciare la carta usata. Durante la notte alcune mandrie di vacche passano vicino alle tende, al mattino Piero racconta che un paio di persone del vicino villaggio sono passati di notte e l’hanno svegliato, per sapere chi eravamo e se avevamo i permessi per accamparci , come già successo in altre occasioni.



Comincio a conoscere gli altri amici di questa nuova avventura, nella hall dell’albergo trovo Marina, moglie di Piero, e Vittorio, romano ma da cinquant’anni nigerino di Nimey proprietario di un famoso ristorante ad Agadez, un persona davvero unica. Caricati i bagagli sull’autobus , saluto Papik che rientrerà in Italia, si parte fermandosi subito all’hotel cinese, poco distante, per prendere a bordo i tre compagni tedeschi, il programma è nella testa del capo, così sarà per tutto il viaggio, vista la sua esperienza vissuta in prima persona in questo paese. Si esce da N’Diamena percorrendo una lunga strada asfaltata, molto traffico fino alla periferia della città, che non capisco dove sia, ai lati della stessa si susseguono piccole basse costruzioni fatiscenti adibite sia per abitazioni che per le tante le tante varie attività, che per campare ognuno si dà da fare, niente di diverso rispetto alle altre periferie delle città africane già viste. Strada ora a pedaggio, che viene riscosso ad un quasi casello, fermando il poco traffico con un corda posta trasversalmente, ai lati caserme con alti muri con sopra filo spinato, diversi i posti di blocco si susseguono tenuti da militari armati che fermano la nostra carovana abbassando la corda dopo il controllo dei documenti, permettendoci di proseguire. Comincia a far caldo , in Ciad non piove da molti mesi, placidamente greggi di capre pascolano sulle distese di campi di sorgo, già raccolto, ora solo paglia secca con radi cespugli e boschi di acacie spoglie, dal tronco rosso, rallentamenti e gimkane per le molte buche sulla strada, più o meno profonde, in lontananza una raffineria per il petrolio che arriva dal sud del Ciad, realizzata da imprese cinesi che ormai stanno invadendo tutti i mercati africani. A circa 30 km dalla città, in uno slargo a lato della strada, usata anche come cantiere per la costruzione di blocchi squadrati di terra impastata,
lasciamo l’autobus e prendiamo i cinque fuoristrada che ci hanno lì raggiunti, già carichi di tutto il necessario per la durata della spedizione. Per un migliore affiatamento dei componenti del gruppo, Piero chiede che ogni giorno sui fuoristrada vengano ruotati i posti a sedre fra di noi. Alle 13 ci si ferma per pausa pranzo all’ombra di una acacia pèoco prima del villaggio di Ngoura, un panino con frittata e una banana.
Raggiunto il grande villaggio, si lascia la strada asfaltata per continuare in direzione est immersi nell’Africa saheliana, diversi sono gli stagni con acqua dove si abbeverano gli animali, stormi di cicogne che subito si alzano in volo, nelle poche le abitazioni che si incontrano diverse donne, dalle vesti colorate che i loro bimbi si recano ai pozzi con gli asini per fare scorta d’acqua. A bordo strada, ai lati delle case, vengono accatastati in vari mucchi, piccoli tronchi e ramaglia di legno, che verranno venduti per il fabbisogno di altre famiglie, contemporaneamente un grosso autocarro stracarico di legname, all’inverosimile, viaggia che più inclinato di così può solo sperare di non rovesciarsi. Penso a un territorio ormai deforestato, in realtà si tratta del recupero di piante morte sparse pe r sulla sabbia delsahel, un duro lavoro che fanno sopratutto le donne. La prima giornata è corsa velocemente su queste strade o piste, tanta natura selvaggia, molta pastorizia, alle 17 circa primo campo, poco prima del villaggio di Ab Touyour. Siamo in un grande area piana sabbiosa ai piedi di una roccia, montiamo le tende con l’aiuto delle guide, ognuno trova il posto che gli aggrada, c’è solo l’imbarazzo della scelta dove mettersi per ascoltare il silenzio della notte, salvo la presenza di russatori, si resta in attesa del sorgere della luna piena. Giornata calda sempre sui 40 gradi, anche di notte, ma niente zanzare .
