In questa Italia che non capisco
Capitolo IV
Siamo partiti da Milano in treno. Il Duomo, sei o sette miglia dietro di noi, montagne enormi, montagne irreali e azzurrognole, coperte di nevi, una ventina di miglia davanti a noi – questi gli elementi più significativi del panorama che ci circondava in lontananza . A distanza più ravvicinata, invece, all’esterno della carrozza ferroviaria il paesaggio era costituito da campi coltivati e da fattorie, mentre, all’interno del vagone, avevamo davanti un nano con una testa gigantesca e una donna con tanto di baffi. Ma non è che fossero gente di spettacolo. Ahimè, deformità e barbe femminili sono una faccenda fin troppo comune, in Italia, per stupirsene. Siamo passati accanto a una fila di colline pittoresche e selvagge, dai fianchi ripidi e coperti di vegetazione, a forma di cono, con picchi frastagliati che si levano quì e là, con abitazioni e castelli in rovina arroccati in cima, fin quasi a sfiorare le nubi che passano. Abbiamo pranzato nella curiosa antica cittadina di Como, ai piedi del lago, poi abbiamo preso il vaporetto e nel pomeriggio abbiamo fatto una gradevole escursione a Bellagio. Non appena siamo sbarcati, un gruppo di poliziotti ( il cui tricorno e la vistosa uniforme farebbero sfigurare anche la divisa più bella dell’esercito degli Stati Uniti ) ci ha fatto entrare in una piccola cella dove ci hanno chiusi dentro. A farci compagnia, c’erano tutti i passeggeri del vaporetto, ma avremmo preferito molto di più che non ci fossero, perchè non c’era luce, non c’erano finestre e mancava l’aria. Insomma, l’ambiente era stretto e afoso, per cui eravamo stipati come sardine. In scala ridotta era il Buco Nero di Calcutta. Dopo un poco, all’altezza dei piedi è iniziato a diffondersi del fumo – un fumo che puzzava di tutte le cose morte della terra, di tutto il marciume e le putrefazioni immaginabili. Siamo rimasti chiusi li dentro per cinque minuti, e quando finalmente siamo usciti sarebbe stasto difficile dire chi di noi avesse l’odore più disgustoso . Questi miserabili reietti hanno detto di averci “fumigato”, un termine decisamente eufemistico. Ci hanno sottoposto a fumigazione per proteggerci contro il colera, sebbene non provenissimo da nessun porto infetto. Ci eravamo sempre lasciato il colera alle spalle. Tuttavia, in un mopdo o nell’altro devono sempre difendersi dalle pidemiem, e la fumigazione è più economica del sapone. O decidono di lavarsi oppure sottopongono a fumigazione il prossimo. Alcuni individui delle classi più umili preferirebbero morire piuttosto che lavarsi, mentre la fumigazione degli stranieri non procura loro alcun rimorso. Quanta alla gente del luogo, non ha alcun bisogno di sottoporsi a fumigazioni, in quanto le loro abitudini rendono inutile una simile pratica. Hanno già inb se un rimedio preventivo assai efficace: sudano, e si suffimacano da soli tutto il santo giorno. Credo d’essere un cristiano alquanto umile e coerente, e cerco sempre di fare ciò che è giusto. So che è mio dovere “pregare per i miei persecutori” e quindi, per quanto mi risulti difficile, cercherò sempre di pregare comunque per questi tiranni suffimicanti con la pancia piena di maccheroni. Il nostro albergo -o quantomeno il giardino sul davanti- si trova in riva al lago, e al tramonto, mentre fumiamo, passeggiamo pigramente fra i cespugli; da lontano, scorgiamo la Svizzera e le Alpi, e avvertiamo una certa pigrizia all’idea di recarci fin lassù per guardare quei luoghi da vicino; scendiamo i gradini del molo e facciamo una nuotata nel klago; prendiamo una bella barchetta e veleggiamo al largo fra i riflessi delle stelle; ci distendiamo sui banchi dei vogatori e restiamo in ascolto delle risate, dei canti, delle dolci melodie dei flauti e delle chitarre, che udiamo a distanza e che provengono da gondole di diporto che solcano il lago; infine concludiamo la serata giocando irritatanti partite al biliardo su uno di quei soliti vecchi tavoli, che siano stramaledetti. Una cenetta di mezzanotte nella nostra ampèia camera da letto; un’ultima fumata nella piccola veranda che s’affaccia sul lago, sui giardini e verso le montagne; la rassegna degli eventi della giornata appena trascorsa….. E poi a dormire, con la testa assonnata e tormentata dsa un folle girotondo, un girotondo d’immagini mescolate tra loro…….la Francia, l’Italia, la nave, la casa….una confusione grottesca che confonde la mente. Poi i volti familiari si dileguano, e con loro si dileguano le immagini delle cittàe delle onde agitate, in una grande calma fatta di oblio e di pace. Dopo di che, l’incubo. Al mattino, la colazione e poi il lago. Non mi è piaciuto ieri. Tra me e me, ho pensato che il lago Tahoe sia molto più bello. Ora devo confessare, però, d’essermi in qualche modo sbagliato, sebbene non poi così tanto. Sono sempre stato convinto che il lago di Como fosse un ampio bacino pieno d’acqua, come quello di Tahoe, cinto da grandi montagne. Ebbene, qui le le grandi montagne ci sono, ma quanto al lago….beh non è affato un bacino. E’ tortuoso come un ruscello,e, quanto alla larghezza, è solo tra un quarto e due terzi di quella del Missisippi. Su entrambe le sponde, non c’è neanche un palmo di di terreno pianeggiante o che degradi dolcemente verso l’acqua – nient’altro che catene interminabili di monti che, da un’altezza che varia dai mille ai duemila piedi, cadono a picco in acqua. I pendii scoscesi sono interamente coperti di fitta vegetazione, e comunque, tra il fogliame rigoglioso, fanno capolino le macchie bianche delle abitazioni; se ne vedono perfino arroccate in alto in alto, sulla cima di spuntoni pittoreschi di roccia a strapiombo, a oltre mille piedi d’altezza. Anche qui a Como, per miglia e miglia lungo le coste del lago, eleganti residenze di campagna, circondati da parchi e boschetti, sorgono proprio al livello dell’acqua, talvolta in angoli nascosti scavati dalla natura tra le ripide pareti coperte di rampicanti, e che si possono raggiungere solo dal lago per mezzo di un’imbarcazione. Alcune di queste residenze hanno ampie e grandi scalinate di pietra che scendono verso il pelo dell’acqua, dotate di pesanti balaustre ornamentali decorate con statue e resi più eleganti da bellissimi rampicanti e da fiori vivacemente colorati – insomma, come il sipario di un teatro, in cui mancano solo le donne con l’abito dalla vita alta, i tacchi alti, e i cicisbei piumati in calzamaglia di seta che scendono giù dalla scalinata per andare a cantare la serenata a bordo della bellissima gondola che li sta aspettando. Quello che contribuisce a rendere Como così gradevole e invitante, sono senz’altro le numerose e belle ville con i loro parchi e giardini che sorgono qui e là sulle rive del lago e sui pendii delle montagne. Hanno un’aria così accogliente e così familiare, specie verso sera quando ogni cosa sembra assopirsi e la musica delle campane dei vespri scivola quasi furtivamente sul pelo dell’acqua, tanto da convincersi che in nessun altro luogoche non sia il lago di Como sia possibile trovare un simile paradiso di pace e tranquillità. Qui a Bellagio, dalla finestra della mia stanza arrivo a scorgere l’altro lato del lago, la cui vista è bellissima, come fosse dipinta. Una parete a precipizio, scabrosa e accidentata, si staglia per un’altezza di milleottocento piedi; su una piccola sporgenza a metà altezza di quell’ampia parete si trova una chiesetta simile a un fiocco di neve, all’apparenza non più grande di una casetta per uccelli; lungo tutta la base di quella ripida parete, vi sono un centinaio di boschetti di aranci e di giardini, punteggiati qui e là da bianche abitazioni nascoste in quella fitta vegetazione; sul davanti, tre o quattro gondole galleggiano pigramente sull’acqua – e nello specchio brunito del lago, la montagna,la cappella, le case, i boschi, gli aranceti e le barche si riproducono in modo così limpido e così vivido che riesce difficile distinguere dove finisce la realtà e dove inizia il riflesso! Anche i d’intorni di questo luogo così pittoresco sonio belli. A un miglio di distanza, un promontorio interamente ricoperto di fitta vegetazione si protende lontano nel lago, e il palazzo che sorge sulla punta si riflette nelle profonde acque blu; al centro del lago, un’imbarcazione solca veloce la superficie che scintilla al sole e si lascia una lunga scia alle spalle, simile a un raggio di luce; poco più avanti le motagne sono velate da un’indistinta bruma violacea; in lontananza ma nella direzione opposta, una distesa confusa di cime tondeggianti e di pendii e valli verdeggianti costituisce il punto estremo del lago, particolarmente suggestivo, a causa della distanza che conferisce un tocco magico al panorama – perchè su queste enormi tele il sole e le nubi e i cieli più intensi hanno miscelato insieme migliaia di sfumature diverse di colore, e sulla loro superficie trascolorano, ora dopo ora, le luci e le ombre vaporose, e conferisconoa quei panorami una bellezza che sembra emanare dal paradiso stesso. Senza ombra di dubbio, è la vista più voluttuosa che fino ad oggi abbiamo ammirato. Ieri sera lo scenario che si è rivelato ai nostri occhi era suggestivo e pittoresco. Sulla sponda opposta gole e alberi e case candide come la neve si specchivanio nel lago con una nitidezza che lasciava a bocca aperta, e raggi di luce riflessi da molte delle finestrre lontane, si riflettevano a distanza sulle acque tranquille. Sul nostro versante, non molto distante da noi, gran di ville, illuminate dal chiaro di luna spiccavano nettamente in contrasto con la fitta vegetazione che s’immergeva nera e informe fra le ombre che cadevano dalle rocce sovrastanti – mentre più in basso, e cioè lungo il bordo del lago, s’intravedeva, fedelmente replicata, ogni caratteristica di quella strana visione.
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