ciad – ennedi ……….19.11

Nella parte meridionale del massiccio, esiste un luogo, chiamato Archei, dove tra pareti alte fino a 200 metri si insinua una gola stretta e sinuosa con al suo interno una profonda e lunga guelta dove vivono gli ultimi coccodrilli del Sahara. Dal campo, dopo colazione, si risale un ripido e difficile sentiero, in mezzo alle rocce, che con la luce del sole assumono colori straordinari. Fa molto caldo e il sole picchia, ma arrivati in cima dall’alto, lo spettacolo è degno del miglior documentario naturalistico: dal lato aperto del canyon, decine e decine di cammelli bramiscono, sono all’abbeverata, coordinati dai nomadi per evitare pericolose ammucchiate; l’acqua è scura e limacciosa. In un angolo della guelta dovrebbero vivere i coccodrilli, testimonianza di epoche remote, che però noi non vediamo. Anche la discesa al balconcino naturale dove osserviamo meglio i dromedari, abbastanza facile da fare, ma il vuoto si apre davanti a noi, alcuni dromedari in acqua, altri sulla spiaggietta a brucare le foglie delle poche acacie.

Per evitare il ritorno per lo stesso sentiero, per 5000 cfa cadauno, attraversiamo a dorso di dromedario le acque della guelta aiutati da un ragazzo nomade, immerso fino al busto in queste acque putride per l’urina degli animali, con una corda  guida l’animale sull’altra sponda. Attraversata la gola, troviamo altre mandrie di dromedari in questo grande area paludosa con la poca acqua che arriva dalla guelta, una grande grotta si apre sulla parete del monte usata, a suo tempo, per ricoverare gli schiavi prima di trasferirli ai mercati. A piedi breve camminata attraversando la rigogliosa vegetazione del wadi, per arrivare ad una grande acacia, dove è stato preparato il pranzo e per un breve riposo.  Nell’intera regione di Archei, immerse in un paesaggio di indimenticabile bellezza, si trovano, sparse qua e là in ripari naturali, considerevoli stazioni di pitture rupestri, eseguite in epoche sconosciute che sono arrivate fino a noi lasciandoci un divertente compito dell’interpretazione. Un’altra grande grotta si apre sopra di noi, facile da raggiungere, per vedere la ricchezza delle pitture e delle incisioni che rivestono le sue pareti.

Ci si trasferisce per il nuovo campo nella valle delle fanciulle, raggiungibile attraverso un difficile accesso pietroso e piste sabbiose, un incantevole labirinto di piccole torri e sculture di arenaria che poggiano su un morbido tappeto sabbioso. lasciate le macchine, subito in giro per queste affascinanti formazioni rocciose con attorno una distesa sabbiosa color arancione, uno dei luoghi più belli di tutto il Sahara. Curiose formazioni di arenaria a fungo o a ombrello, la fantasia del tempo ha prodotte alte ed affilate guglie, regalando un terreno fantastico e verticale. Il sole sta tramontando in mezzo a queste sculture, si torna al campo per montare le tende, in attesa della cena, stasera brodo caldo e un piatto di carne di montone, acquistato in mattinata dai nomadi. Dopo cena, abbiamo sopra di noi la volta celeste, e numerose stelle cadenti che fanno sognare.

ciad – ennedi……..18.11

Alle 4 sono già sveglio, tutti al campo riposano ancora, mi siedo fuori dalla tenda su una sedia per vedere l’alba, mentre le ultime stelle stanno tramontando. Mi torna in mente una canzone dei sulutumana ANAM…JI  che parla del silenzio scritta in ricordo di TIziano Terzani

…..e il silenzio lassù era voce mutabile, precipitare dell’acqua, della terra le lacrime, il rischiarare del cielo ed era un canto, un volo, era la gola del mondo, il suo respiro più profondo, il suo rimbombo, il suo battito, viene da dove non sai e non sai dove andrai…Anam….scordi i nomi delle stelle e il tuo nome, guarda voli senza ali, guarda sali….non hanno forma o parole, la bellezza e la verità …..chi ha il coraggio di perdersi la via troverà ed il tuo passo leggero apre le porte del mistero tra rivelarsi e nascondersi…

Inizia una nuova giornata che non sappiamo cosa ci riserverà: vediamo una donna con i suoi bimbi e il suo gregge di capre vicino ad un pozzo, i muli carichi di otri d’acqua e tre cavalli con un piccolo puledro, nato da poco, al loro fianco. Entriamo in questo oceano di pietre e di sabbia dove si apre una realtà diversa da tutto quello visto fin’ora, sorprese che ripagano ampiammente le difficoltà e le fatiche per accedervi. Lungo la pista, il paesaggio cambia continuamente, alcune rocce fuoriescono dalla sabbia, si costeggiano magnifiche serie di formazioni tasilliane arenacee che assumono forme stravaganti di castelli e cattedrali lambiti da sinuose lingue di sabbia . Ogni tanto si incontrano piccole case-capanne, a forma di guscio rovesciato, che ai lati della pista spuntano come dal nulla in luoghi inaspettati, sembrano disabitate ma al  rumore dei fuoristrada ecco apparire dei bambini con le loro madri alle spalle. La pista di sabbia spesso diventa rocciosa, mai in piano, gli autisti sono davvero bravi nel trovare il punto giusto per riuscire a superare certi tratti difficili, seppur rispettando la propria posizione prevista nella carovana, ognuno si sceglie il tratto di strada che ritiene migliore. Non trovando come superare certe dune, In molti tratti e per molti km si devono costeggiarle ritrovando infine il passaggio per scendere di quota ma grazie a Piero e alla guida, suo autista, con la grande conoscenza del deserto, sempre diverso per lo spostamento delle dune a causa del vento, trovano dove invertire la rotta per scendere e ritrovare la pista sottostante per proseguire. Per la pausa caffè ci si ferma alla base di un massiccio,mborroni_ciad-360

dandoci così la possibilità di salire a piedi sulla duna che si insinua fra i due picchi per ammirare l’immenso paesaggio che si apre davanti ai nostri occhi.

Un unico alberello cresce su questo pendio , si tratta di callotropis pocera , dai grossi frutti verdi , non commestibili, neanche gli animali li mangiano, quando maturano e si aprono moltissimi semi lanosi trasportati dal vento voleranno sulle sabbie del deserto per nuove piante se troveranno l’acqua . lasciata la duna, poco lontano troviamo delle grotte con il primo sito di incisioni rupestri, ci si inoltra dentro scoprendo sulle pareti o sui soffiti opere di milioni di anni fa, abbondano figure umane isolate o a gruppi, raffigurazioni di animali, cavalli e dromedari, alcuni disegni ben conservati.

Pausa pranzo all’ombra di una grande roccia con insalata di riso, prima di andare a vedere diverse tombe preislamiche costituite ,da grossi mucchi di pietre nere di epoca incerta e di origine vulcanica, probabilmente neolitiche, molto povere, con una o due sepolture e quasi sempre senza suppellettili di valore, in quelle poche che sono state aperte. Sopra una di esse sono riuscito a cadere rimediando contusioni e dolori per la botta all’osso sacro, con l’aiuto degli amici, con crema antidolorifica steso sui materassini usati per la pausa pranzo ho rimediato al forte dolore in modo da proseguire. Nei secoli l’erosione del vento ha creato un paesaggio davvero unico aprendo nelle rocce archi naturali di rara bellezza ed aperture nelle pareti indescrivibili

. Proseguendo, si raggiunge un piccolo villaggio, conosciuto da Piero, per concordare la visita di domani alla guelta di Archei, pagando il relativo contributo al capo villaggio anche per avere la guida che domani ci accompagnerà su per il sentiero del monte prima di scendere al lago. All’esterno del recinto delle capanne, diverse donne fanno un piccolo mercato esponendo la loro merce

costituita collane, conchiglie o pietre recuperate nel deserto, si riprende per arrivare al nuovo campo li vicino, nell’Uadi Archei, per cena dopo un nuovo aperitivo, spaghetti al pesto, zucchine fritte, prosciutto crudo, melone di frutta e tisana calda a finire . Bella la volta celeste da osservare, le galassie, le pleiadi e varie costellazioni, sempre con la testa all’insù.

ciad – ennedi ………..17.11

Dopo la sveglia, alle prime luci dell’alba, diversi di noi salgono, ognuno per conto suo, sui massi e sulle rocce fino alla cima, per vedere sorgere il sole che colora di un rosso scuro questi massi, alcuni piccoli alberi hanno la forza di riprendere la vita nascendo in mezzo a questo pietrame. A colazione Vittorio fa notare di aver notato sul monte escrementi di alcuni sciacalli che hanno passato li la notte, nessun altro animale avvistato.

Mentre viene smontato il campo, un breve cammino per raggiungere un’altra piccola significativa roccia, che si eleva dal sahel, a piedi si procede verso i mezzi già fermi sulla pista, si attraversa l’asciutto stagno delle cicogne, subito alzatesi in volo, fermo in cima ad un albero, è di vedetta un avvoltoio . Oggi sono in macchina con Vittorio, che mi racconta molto delle sue esperienze sahariane, della sua avventurosa vita, descrivendomi il paesaggio che stiamo attraversando osservando bene alcune tende a fagiolo sparse casualmente nel deserto che appartengono ai nomadi di etnia tubu. Racconta che in questa parte del deserto è stato ritrovato parte delle ossa di un ominide vissuto qui oltre 8 milioni di anni fa, chiamato TOUMAJ ,progenitore anche della nonna Lucy vissuta in Etiopia 3 milioni e mezzo di anni fa, questo ritrovamento è ancora in fase di studio per accertamenti e conferme, fra due scienziati che si disputano la scoperta. Si raggiunge Kalait, questo grande villaggio sviluppato in questi ultimi anni, neppure segnato sulla mappa, vero crocevia sahariano per i suoi traffici, ci si ferma al mercato l’acquisto di generi alimentari per il gruppo, ognuno si compera le proprie bottigliette d’acqua o di coca, fredda, ma non vendono birra, nei vari negozietti lungo la strada si vende di tutto. Con le macchine ci si sposta fuori del villaggio per il rifornimento dell’acqua, da diversi pozzi esistenti: attorno ad essi ci sono molti automezzi, sopratutto carretti trainati da muli carichi di bidoni o serbatoi in ferro da riempiere; in questa grande piazza stazionano molte mandrie di dromedari, di vacche e di capre che si abbeverano nelle varie pozzanghere. Si punta ora verso nord in una regione ormai desertica, ai confini meridionali dell’Ennedi,mborroni_ciad-238 abitata dalla popolazione Gaeda, Tama e Zagawa, allevatori seminomadi

. Fa molto caldo, siamo a circa 450 mt. di altitudine, al passaggio dei mezzi una polvere impalpabile, quasi cipria, si solleva intorno a noi, ad un certo punto in un bivio, come un fantasma, appare un bianco cartello direzionale con due frecce con sopra scritti due nomi: una indica la pista per la Libia, l’altro la direzione del oued Archei per entrare nell’Ennedi. mborroni_ciad-244Nonostante i pochi cespugli e i ciuffeti di erba sulla sabbia del deserto, incontriamo diverse mandrie di dromedari, all’orizzonte appaiono le prime formazioni rocciose di arenaria, erose dal vento, dalle forme più disparate, Piero passa alla ricerca del 4′ campo che lo trova a Terkei Kisimi, presso la grotta dei cavalli volanti, prime pitture rupestri che vedremo domani. Cena con petto di tacchino e ratatui,  prima l’aperitivo con martini e vermuth, a finire tisana calda di karkadè, poi alle 8 tutti a nanna.mborroni_ciad-240

 

mark twain

In questa Italia che non capisco

Capitolo IV

Siamo partiti da Milano in treno.    Il Duomo, sei o sette miglia dietro di  noi, montagne enormi, montagne irreali e azzurrognole, coperte di nevi,  una ventina di miglia davanti a noi – questi gli elementi più significativi del panorama che ci  circondava in  lontananza .    A  distanza più ravvicinata, invece, all’esterno della carrozza ferroviaria il  paesaggio era costituito da campi coltivati e da fattorie, mentre, all’interno del vagone, avevamo davanti un nano con una testa gigantesca e una donna con tanto di baffi.   Ma non è che fossero gente di spettacolo.     Ahimè, deformità  e barbe femminili sono una faccenda fin troppo comune, in Italia, per  stupirsene.     Siamo passati accanto a una fila di colline pittoresche e selvagge, dai fianchi ripidi e coperti di vegetazione, a forma di cono, con picchi frastagliati  che si levano quì e là, con abitazioni e castelli in rovina arroccati in cima, fin quasi a sfiorare le nubi che passano. Abbiamo pranzato nella curiosa antica cittadina di Como, ai piedi del  lago, poi abbiamo preso il vaporetto e nel pomeriggio abbiamo fatto una gradevole escursione a Bellagio.   Non appena siamo sbarcati, un gruppo di poliziotti ( il cui tricorno e la vistosa uniforme farebbero sfigurare anche la divisa più bella dell’esercito degli Stati Uniti ) ci ha fatto entrare in una piccola cella dove ci hanno chiusi dentro.   A farci compagnia, c’erano tutti i passeggeri del vaporetto, ma avremmo preferito molto di più che non ci fossero, perchè non c’era luce, non c’erano finestre e mancava l’aria.  Insomma, l’ambiente era stretto e afoso, per cui eravamo stipati come sardine.   In scala ridotta era il Buco Nero di Calcutta. Dopo un poco, all’altezza dei piedi è iniziato a diffondersi del fumo – un fumo che puzzava di tutte le cose morte della terra, di tutto il marciume e le putrefazioni immaginabili.   Siamo rimasti chiusi li dentro per cinque minuti, e quando finalmente siamo usciti sarebbe stasto difficile dire chi di noi avesse l’odore più disgustoso .   Questi miserabili reietti hanno detto di averci “fumigato”, un termine decisamente eufemistico. Ci hanno sottoposto a fumigazione per proteggerci contro il colera, sebbene non provenissimo da nessun porto infetto.   Ci eravamo sempre lasciato il colera alle spalle.   Tuttavia, in un mopdo  o nell’altro devono sempre difendersi dalle pidemiem, e la fumigazione è più economica del sapone.  O decidono di lavarsi oppure sottopongono a fumigazione il prossimo. Alcuni individui delle classi più umili preferirebbero morire piuttosto che lavarsi, mentre la fumigazione degli stranieri non procura loro alcun rimorso.  Quanta alla gente del luogo, non ha alcun bisogno di sottoporsi a fumigazioni, in quanto le loro abitudini rendono inutile una simile pratica. Hanno già inb se un rimedio preventivo assai efficace: sudano, e si suffimacano da soli tutto il santo giorno.  Credo d’essere un cristiano alquanto umile e coerente, e cerco sempre di fare ciò che è giusto.  So che è mio dovere “pregare per i miei persecutori” e quindi, per quanto mi risulti difficile, cercherò sempre di pregare comunque per questi tiranni suffimicanti con la pancia piena di maccheroni. Il nostro albergo -o quantomeno il giardino sul davanti- si trova in riva al lago, e al tramonto, mentre fumiamo, passeggiamo pigramente fra i cespugli; da lontano, scorgiamo la Svizzera e le Alpi, e avvertiamo una certa pigrizia all’idea di recarci fin lassù per guardare quei luoghi da vicino; scendiamo i gradini del molo e facciamo una nuotata nel klago; prendiamo una bella barchetta e veleggiamo al largo fra i riflessi delle stelle; ci distendiamo sui banchi dei vogatori e restiamo in ascolto delle risate, dei canti,  delle dolci melodie dei flauti e delle chitarre, che udiamo a distanza e che provengono da gondole di diporto che solcano il lago; infine concludiamo la serata giocando irritatanti partite al biliardo su uno di quei soliti vecchi tavoli, che siano stramaledetti.   Una cenetta di mezzanotte nella nostra ampèia camera  da letto; un’ultima fumata nella piccola veranda che s’affaccia sul  lago, sui giardini e verso le montagne; la rassegna degli eventi della giornata appena trascorsa….. E poi a dormire, con la testa assonnata e tormentata dsa un folle girotondo, un girotondo d’immagini mescolate tra loro…….la Francia, l’Italia, la nave, la casa….una confusione grottesca che confonde la mente. Poi i volti familiari si dileguano, e con loro si dileguano le immagini delle cittàe delle onde agitate, in una grande calma fatta di oblio e di pace.   Dopo di che, l’incubo.   Al mattino, la colazione e poi il lago.   Non mi è piaciuto ieri. Tra me e me, ho pensato che il lago Tahoe sia molto più bello. Ora devo confessare, però, d’essermi in qualche modo sbagliato, sebbene non poi così tanto. Sono sempre stato convinto che il lago di Como fosse un ampio bacino pieno d’acqua, come quello di Tahoe, cinto da grandi montagne. Ebbene, qui le le grandi montagne ci sono, ma quanto al lago….beh non è affato un bacino. E’ tortuoso come un ruscello,e, quanto alla larghezza, è solo tra un quarto e due terzi di quella del Missisippi.   Su entrambe le sponde, non c’è neanche un palmo di di terreno pianeggiante o che degradi dolcemente verso l’acqua – nient’altro che catene interminabili di monti che, da un’altezza che varia dai mille ai duemila piedi, cadono a picco in acqua. I pendii scoscesi sono interamente coperti di fitta vegetazione, e comunque, tra il fogliame rigoglioso, fanno capolino le macchie bianche delle abitazioni; se ne vedono perfino arroccate in alto in alto, sulla cima di spuntoni pittoreschi di roccia a strapiombo, a oltre mille piedi d’altezza.  Anche qui a Como, per miglia e miglia lungo le coste del lago, eleganti residenze di campagna, circondati da parchi e boschetti, sorgono proprio al livello dell’acqua, talvolta in angoli nascosti scavati dalla natura tra le ripide pareti coperte di rampicanti, e che si possono raggiungere solo dal lago per mezzo di un’imbarcazione.   Alcune di queste residenze hanno ampie e grandi scalinate di pietra che scendono verso il pelo dell’acqua, dotate di pesanti balaustre ornamentali decorate con statue e resi più eleganti da bellissimi rampicanti e da fiori vivacemente colorati – insomma, come il sipario di un teatro, in cui mancano solo le donne con l’abito dalla vita alta, i tacchi alti, e i cicisbei piumati in calzamaglia di seta che scendono giù dalla scalinata per andare a cantare la serenata a bordo della bellissima gondola che li sta aspettando.    Quello che contribuisce a rendere Como così gradevole e invitante, sono senz’altro le numerose e belle ville con i loro parchi e giardini che sorgono qui e là sulle rive del lago e sui pendii delle montagne.   Hanno un’aria così accogliente e così familiare, specie verso sera quando ogni cosa sembra assopirsi e la musica delle campane dei vespri scivola quasi furtivamente sul pelo dell’acqua, tanto da convincersi che in nessun altro luogoche non sia il lago di Como sia possibile trovare un simile paradiso di pace e tranquillità.   Qui a Bellagio, dalla finestra della mia stanza arrivo a scorgere l’altro lato del lago, la cui vista è bellissima, come fosse dipinta.   Una parete a precipizio, scabrosa e accidentata, si staglia per un’altezza di milleottocento piedi; su una piccola sporgenza a metà altezza di quell’ampia parete si trova una chiesetta simile a un  fiocco di neve, all’apparenza non più grande di una casetta per uccelli; lungo tutta la base di quella ripida parete, vi sono un centinaio di boschetti di aranci e di giardini, punteggiati qui e là da bianche abitazioni nascoste in quella fitta vegetazione; sul davanti, tre o quattro gondole galleggiano pigramente sull’acqua – e nello specchio brunito del lago, la montagna,la cappella, le case, i boschi, gli aranceti e le barche si riproducono in modo così limpido e così vivido che riesce difficile distinguere dove finisce la realtà e dove inizia il riflesso!   Anche i d’intorni di questo luogo così pittoresco sonio belli. A un miglio di distanza, un promontorio interamente ricoperto di fitta vegetazione si protende lontano nel lago, e il palazzo che sorge sulla punta si riflette nelle profonde acque blu; al centro del lago, un’imbarcazione solca veloce la superficie che scintilla al sole e si lascia una lunga scia alle spalle, simile a un raggio di luce; poco più avanti le motagne sono velate da un’indistinta bruma violacea; in lontananza ma nella direzione opposta, una distesa confusa di cime tondeggianti e di pendii e valli verdeggianti costituisce il punto estremo del lago, particolarmente suggestivo, a causa della distanza che conferisce un tocco magico al panorama – perchè su queste enormi tele il sole e le nubi e i cieli più intensi hanno miscelato insieme migliaia di sfumature diverse di colore, e sulla loro superficie trascolorano, ora dopo ora, le luci e le ombre vaporose, e conferisconoa quei panorami una bellezza che sembra emanare dal paradiso stesso.  Senza ombra di dubbio, è la vista più voluttuosa che fino ad oggi abbiamo ammirato.   Ieri sera lo scenario che si è rivelato ai nostri occhi era suggestivo e pittoresco.   Sulla sponda opposta gole e alberi e case candide come la neve si specchivanio nel lago con una nitidezza che lasciava a bocca aperta, e raggi di luce riflessi da molte delle finestrre lontane, si riflettevano a distanza sulle acque tranquille.  Sul nostro versante, non molto distante da noi, gran di ville, illuminate dal chiaro di luna spiccavano nettamente in contrasto con la fitta vegetazione che s’immergeva nera e informe fra le ombre che cadevano dalle rocce sovrastanti – mentre più in basso, e cioè lungo il bordo del lago, s’intravedeva, fedelmente replicata, ogni caratteristica di quella strana visione.

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ciad – ennedi ……….15.11

Dopo molti anni sono tornato a dormire in tenda, questa volta nel deserto: alle prime luci dell’alba, alle cinque, dopo la sveglia ognuno smonta la propria tenda, viene riacceso il fuoco per scaldare l’acqua per il tè e per il caffè, per la pausa di metà mattina, si fa colazione. Scambio di impressioni sulla notte appena trascorsa, tutti contenti e positivi.  Una breve passeggiata su una lunga spianata di sabbia con pochi alberi e cespugli,  per raggiungere i fuoristrada.  Alle nove si riprende la strada, solita gimkana per evitare le buche, per questa lunga giornata di trasferimento verso l’Ennedi, immersi in una dimensione di verace e autentica Africa saheliana in cui si susseguono senza soluzione di continuità villaggi e mercati. Rallentiamo e ci fermiamo ad osservare un gruppo di pastori nomadi con la loro carovana di dromedari, attraversano la strada, diretti a sud, in cerca di nuovi pascoli, sul dorso di alcuni di essi sono stati messi piccole strutture per alleviare e far riposare donne e i bimbi durante la transumanzaimg_6121. Ancora posti di blocco dei militari armati per il controllo dei documenti, ogni volta Piero deve esibire  e spiegare loro con l’aiuto del suo autista di etnia tubu, credo che non tutti questi militari riescano a capirli e leggerli , da come leggono e guardano i fogli . Ci si ferma al villlaggio di Ab Touyour, primo incontro e impatto nella realtà del paese, fermandosi dopo circa due ore al villaggio di  Mongo per il rifornimento di acqua prelevata al pozzo, sollevata a mezzo di una pompa a motore così da riempire tutti i nostri bidoni, mentre altri persone del villaggio fanno le loro scorte con bidoni caricati sui carretti.

Sotto un albero, alcune donne sedute per terra, fanno un piccolo mercato ponendo davanti a loro dei catini per la vendita dei loro prodotti e di quel poco che hanno: frutti di mango , cavallette fritte insaporite con limoni, delle patate da sabucciare e altro, Paola ne prende un cartoccio che ne offre un assaggio a tutti noi , che non ci trova per niente entusiasti del loro sapore. img_6089 img_6097 img_6088Dall’alto, seduti a bordo strada, un gruppo di ragazzini osserva intensamente noi turisti , quali saranno i loro commenti? Dopo il rifornimento di carburante ad una stazione di servizio, e scorta d’acqua in bottigliette al negozio retrostante, si riparte per Abeche.  In macchina, su un lato della strada, vediamo camminare a piedi piccoli gruppi, o di solo uomini o di sole donne, in fila indiana, vestiti come fosse un giorno di festa, forse arrivano anche da molto lontano, così mi spiega Vittorio, del loro uso e costume di recarsi a fare le condoglianze a casa di una persona morta, forse importante da vivo. Lungo la strada sono stati piantati molti alberi di acacie,  protetti al piede grossi contenitori circolari di mattoni di terra per evitare di essere mangiate dalle capre o altri ruminanti. mborroni_ciad-1876Vittorio mi spiega del B R I C S , sigla di un’associazione di alcuni di stati del mondo, dalle loro iniziali, Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, riuniti per aiutare economicamente, anche per i loro interessi, alcuni paesi sottosvilpuppati  del mondo.  Un argomento che a casa andrò ad approfondire. Ancora si incontrano molte carovane di dromedari, mandrie di vacche e greggi di capre, nomadi e pastori  seguono i loro animali in queste distese infinite del sahel alla ricerca dei pozzi, poca la vegetazione, solo alcune acacie dal tronco rosso, da cui dovrebbero ricavare della gomma arabica, si vede qualche raro campo coltivato a sorgo, poco a granoturco. Un carro armato, residuato bellico, fa parte ora del paesaggio,  li rimasto da quando il Sudan invase il Ciad. Pausa pranzo sotto una pianta di fichi, non buoni, mentre altre carovane di dromedari passano vicino a noi, in cielo corvi neri o avvoltoi in cerca di carcasse di animali morti. Si attraversa il fiume Batha, in secca, con un forte vento caldo di scirocco che solleva un gran polverone di sabbia, per riprendere la strada  principale per Abeche, sempre direzione est, ne mancano ancora oltre 150 km, una breve fermata per la preghiera islamica del pomeriggio dei nostri autisti sunniti, alla nostra destra un nuovo villaggio con un grande esteso mercato,  in lontananza grandi e alti silos cilindrici, forse granai, per la raccolta dei cereali .Attraversiamo la splendida regione del Guerà, all’orizzonte appaiano davanti a noi grandi montagne dalle forme più strane, ci si ferma ai piedi di una di esse per montare il nuovo campo, siamo alla roccia delle iene a circa 40 km da Abeche . Dopo la cena tutti ad osservare la luna piena che sorgerà fra due alti picchi rocciosi. Vedere sorgere la luna dalle cime sopra di noi che illuminana a giorno il nostro campo è stupendo, con molti alberi e cespugli alle nosgtre spalle nessun problema per i servizi, per evitare di inquinare bisogna bruciare la carta usata. Durante la notte alcune mandrie di vacche passano vicino alle tende, al mattino Piero racconta che un paio di persone del vicino villaggio sono passati di notte e l’hanno svegliato, per sapere chi eravamo e se avevamo i permessi per accamparci , come già successo in altre occasioni.